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Il padre d'Italia

Regia di Fabio Mollo vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il padre d'Italia

di yume
7 stelle

Un film "junghiano", e capirete perché.

locandina

Il padre d'Italia (2017): locandina

Un film, Il padre d’Italia, il secondo di Fabio Mollo (ma questo è un particolare ininfluente, fa parte dei credits e così uno lo ricorda) che ti lascia lì per un po’ a pensare.

Innanzitutto astraiamoci dal nostro gusto personale, anche quello ininfluente, se piace Il cavallo di Torino non è escluso che possa piacere anche Il padre d’Italia (si fa eccezione solo per Quo Vadolì l’esclusione è certa).

Ciò detto, cerchiamo di capire cosa c’è che va e cosa non va in questo strano road movie con tematica gay incorporata ma subito bypassata a favore dell’altra, più forte, della “genitorialità” negata e cercata, vissuta molto junghianamente come coesistenza dei contrari,  il maschile e il femminile, l'estroversione e l'introversione, il pensiero e la sensazione, la razionalità e l'irrazionalità, tutto senza produrre conflitti e scissioni.

O meglio, i conflitti non mancano, innanzitutto con sè stessi, ma vedremo che alla fine si risolveranno.

Mia (che quando torna al suo paesello in Calabria ridiventa Mimma) è una Ragonese punk/rock/metal ecc. incinta di sei mesi di un compagno fantasma. Ciononostante beve, fuma e si fa di qualcosa finendo in un locale di incontri gay (non sapremo mai perché proprio lì ma ciò è ininfluente).

Sviene fra le braccia di Paolo (nome finalmente italiano dalla prima all’ultima lettera) che passava di là sperando di incontrare l’amante perduto (intrecci di corpi, fumosità infernali confermano tutti gli stereotipi sul pianeta gay, ma non importa, non è il tema del film).

Quello che conta è che da quel momento nasca una storia, strampalata come i due, piena di sorprese per lo spettatore (come le distanze fra le città d’Italia, ad esempio, che sembrano annullate, o la paura che Paolo ha del mare, forse dell’acqua in genere, che dà vita ad una delle sequenze più assurde in cui lei vuol insegnare a lui a nuotare).

Sia quel che sia, la storia fra i due nasce, cresce e produce feedback con la platea.

Saranno gli occhioni azzurri di Luca Marinelli, sarà la chioma rosso rame alla Barbie di Isabella Ragonese, ci si ritrova a parteggiare per loro, e Fabio Mollo lo dice, in un’intervista, che quello che ha cercato è proprio il feedback con il pubblico.

C’è una buona capacità di regia che riesce a virare in favola una storia di crudo realismo, da Torino alla Calabria, passando per Roma e Napoli, la strana coppia riesce a piacerci, il dialogo è povero quindi non sbava, le parole creano i giusti punti di aggancio con le emozioni e le reazioni, e le trasformazioni interne dei personaggi seguono con coerenza il variare dei luoghi, dei climi e dei corpi.

Ellittico senza il rischio dell’oscurità e dell’introversione, ha l’andamento di un sogno che spesso s’interrompe per aprire gli occhi sul reale.

Qualcosa qua e là andrebbe sfrondato: le suorine che corrono giulive nel chiostro con gridolini felici perché Paolo ha portato la cucina nuova; la vecchia madre badessa incartapecorita che riconosce in Paolo, un bel pezzo di trenta/trentacinquenne, il baby orfanello un tempo ospitato lì; le donne calabresi tutte intorno al tavolo della cucina a tagliar verdure e gli uomini in piazza a guardare e commentare chi passa.

Questo e altro possono dar fastidio, Il mare d’inverno della Bertè e Non sono una signora sono troppo didascaliche, soprattutto perché due nativi digitali non possono usare musicassette da infilare nel mangianastri come se fosse una cosa normale, ma poi c’è qualcosa che intriga, in questo film, ed è innegabile.

E’ il titolo, con l’apostrofo.

Un colpo di genio. Avesse detto Il padre di Italia avremmo capito tutto dall’inizio e non avremmo fatto il biglietto. Come dire il padre di Ines, il padre di Irma, il padre di Isotta.

Ma Il padre d’Italia ha qualcosa di risorgimentale, evoca scenari alla Ippolito Nievo, circoli mazziniani, giornate di Milano. E poi la sorpresa finale, strampalata quanto si vuole, ma bella, gentile, soprattutto vera, non credibile, ma vera.

Le ultime parole di Paolo: avremo una vita difficile ecc.

Questo è certo, Non sei gli altri, e ti ritrovi ora /centro del labirinto/ che i tuoi passi / ordirono cantava Borges, ma in questo mondo di ladri è comunque bello che un uomo sia felice di allevare un bambino invece che chiuderlo in una casa famiglia in attesa di adozione.

Che sia un gay ad adottarlo, senza tanti proclami, sit in, rivendicazioni ecc.

Semplicemente, un omosessuale che vuole un figlio.

Ed ecco perché si diceva un film junghiano. La parola è “individuarsi”.

Recuperare gli archetipi, in modo che " nella psiche possano coesistere i contrari senza produrre conflitti e scissioni, aprirsi al Sé, ossia a quell'altro da noi che è dentro di noi, senza il quale non c'è sviluppo psichico".

Non chiudersi quindi nella propria identità egoica:

“ Di regola, le grandi decisioni della vita umana hanno a che fare più con gli istinti e altri misteriosi fattori inconsci che con la volontà cosciente, le buone intenzioni, la ragionevolezza.”

Luca Marinelli

Il padre d'Italia (2017): Luca Marinelli

Italia e suo padre, dunque, con tanti auguri.

 

www.paoladigiuseppe.it

 

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