Regia di Yasujiro Ozu vedi scheda film
E' una riflessione dolce-amara sull'invecchiamento, sullo scorrere del tempo, sul diritto di ognuno di avere e realizzare la propria vita, e sulla solitudine che spesso attende quando si diventa vecchi. Ho detto dolce-amaro, perché il regista riesce a raffigurare tristezze e drammi umani con profondità e tono lieve contemporaneamente, e condisce il tutto con una musichetta piuttosto gaia, che stempera il dramma di alcuni personaggi. Il risultato, però, non è qualcosa di ibrido, ma ha la sua forza e la sua verità. Molto bello e commovente il ritratto della figlia zitella del vecchio professore, che, in un momento di verità, scoppia all'improvviso a piangere. Il regista sembra sostenere che, benché ai padri – specie se vedovi – possa far piacere e comodo aver le figlie in casa ad occuparsi di loro, questo non è un desiderio legittimo. Esse hanno il diritto di farsi la propria famiglia. Se quando sono ancora giovani, prese dall'amore per il padre, possono non far caso al loro non essere sposate, quando si ritrovano a quaranta o cinquant'anni vedono all'improvviso la loro vita spesa nel modo sbagliato e quasi sprecata.
Ozu aveva un grande senso della famiglia, e quasi tutti i suoi film riflettono su questo tema. Benché le sue opere mostrino anche aspetti amari della vita, sono pervasi da una specie di serenità o levità. E poi è un regista unico, perché sebbene metta sempre la cinepresa a un metro da terra e non muova mai l'inquadratura di un centimetro, ne esce uno stile tutt'altro che pesante o monotono; anzi, è leggero e a mala pena ci si fa caso. A vedere i suoi film quasi non si crede all'esplosione di violenza che di lì a pochi anni avrebbe invaso il cinema giapponese.
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