Regia di Nagisa Oshima vedi scheda film
Nella giovinezza non prevalgono le passioni, bensì i desideri; e a questi si sacrificano, con violenza, i più importanti sentimenti. Il guaio dei vent’anni è non conoscersi; è avere gusti, modelli e aspettative, ma ignorare ciò che può farci sentire veramente bene e ciò che, invece, può farci tremendamente male. L’inquietudine rispetto al nuovo – che caratterizza tutto il cinema nipponico della modernità – si applica qui a quella che, per l’uomo e per la donna, è una problematica età di frontiera: davanti a loro, gli adolescenti vedono un orizzonte vuoto, mentre alle spalle hanno solo il mondo dell’infanzia e genitori dalla mentalità inadeguata ai tempi. Per arrivare a sapere, i ragazzi non pensano di dover guardare indietro, per leggere o ascoltare ciò che altri hanno tramandato; preferiscono, invece, la pericolosa strada della sperimentazione, della pratica senza regole né limitazioni, di cui, però non sono in grado di sostenere le conseguenze. Per provare la vita arrivano a squassarla, come un bambino che rompe un giocattolo per guardarci dentro; però i cocci sparsi a terra, stavolta, sono pezzi di loro stessi, che non è possibile rimettere più insieme, né semplicemente accantonare.
Nagisa Oshima ritrae la giovinezza come un abbandono, che sa più di stanchezza che di romanticismo; il rischio è abbracciato non per amore del brivido e della trasgressione, bensì per assenza di alternative; ma se il momento della scelta viene meno, non c’è eroismo nella tragedia, né dramma nell’errore. Così muore la letteratura, e ciò che rimane è un essere ad una dimensione, che risponde solo alle mode, ai condizionamenti e alle necessità immediate.
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