Regia di Elio Petri vedi scheda film
Un Petri d’antan, alle prime armi, già maturo. Una storia inusuale per il cinema italiano, anzitutto perché è un giallo psicologico che non si può inserire nel filone dei film di genere e o di serie B. Ha una sua classe che lo distingue da altre produzioni simili, poiché non è semplicemente un racconto aneddotico con venature da thriller. È un film a scatole cinesi, fondato sulla suspense del sospetto, sull’esercitazione del dubbio e sulla certezza delle prove. Non per caso il protagonista, alla fine, risulta molto ambiguo, dopo una serie di vari stati d'animo che lo accompagna per tutto il corso dell’opera (incredulità, terrore, rassegnazione, disperazione).
Elio Petri, poi, ci mette del suo con la feroce critica degli ambienti polizieschi (a suo modo è un poliziesco di alta fattura), un po’ rozzi e superficiali, ben identificati nella figura del commissario sospettoso dell’eccellente Salvo Randone. C’è infine uno sguardo impietoso verso la società dei media che costruisce il profilo del mostro da sbattere in prima pagina, con le interviste ai vicini di casa e gli episodi emblematici. Se può essere mossa una critica, è certamente riconducibile all’attenuamento della tensione nella prevedibile seconda parte. Le musiche avvolgenti e la cupa fotografia fanno il resto, assieme ad un Marcello Mastroianni superlativo.
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