Regia di Jean Renoir vedi scheda film
Una pellicola classica nello stile registico e sicuramente meno avanguardista e sperimentatrice rispetto al successivo La Regola del Gioco (1939), ma rispetto alle precedenti opere di Jean Renoir, La Grande Illusione (1937), abbandona finalmente l'impianto teatrale che aveva un pò limitato il talento del regista, per abbracciare una dimensione più ampia nelle location e sopratutto nei personaggi, mai così profondi e umani prima d'ora negli altri film del regista.
Renoir si prende i suoi tempi nel descrivere i personaggi e senza avere fretta nell'arrivare subito a conclusione, tanto che alla fine ciò che diranno il tenente Marechal (Jean Gabin) e il tenente Rosenthal (Marcel Dalio) alla visione della frontiera Svizzera, risulterà abbastanza superfluo per lo spettatore che nell'arco della durata del film, ha intrapreso anch'egli un percorso di maturazione come i protagonisti del film. Partendo da un prison-movie, essendo ambientato in un campo di prigionia, Renoir pur soffermandosi sulle figure dei tenenti Marechal e Rosenthal, nonchè del capitano De Boldieu (Pierre Fresnay), dà un ritratto abbastanza ampio e variegato della vita dei prigionieri francesi internati nei campi tedeschi durante la prima guerra mondiale; tra tentativi di scavare un tunnel per fuggire andati a vuoto, spettacoli teatrali e confuse notizie dal fronte tramite giornali di propaganda che da una parte e dall'altra sparano solo notizie altisonanti poichè soggetti a censura, ci si arrangia come può. La guerra è un momento di crisi, che in quanto tale dovrebbe appianare tutte le differenze sociali e di classe, per il cui superamento il regista si schiera apertamente a favore di una ritrovata solidarietà nazionale, non a caso Marechal ha origini umili, mentre Rosenthal è ebreo e figlio di una ricca famiglia di bachieri (quindi di origini borghesi) ed infine De Boldieu ha lontane ascendenze aristocratiche.
I tre nell'infausta situazione in cui si ritrovano, hanno modo di cementare il loro legame d'amicizia e siccome trovano che la prigione sia stretta per loro, tentano in tutti i modi di evadere e per questo tutti e tre verranno trasferiti nella fortezza di Wintersborn, luogo altamente sorvegliato e con mura alte ben 36 metri, insomma un posto dove la fuga è impossibile.
La fortezza è un luogo ricco di storia come sottolinea un divertito Rosenthal, ma anche un luogo in cui rinchiudere tutti i francesi che hanno tentato più volte di evadere; da contraltare all'asperità del luogo c'è la figura positiva del capitano Von Rauffenstein (Erich Von Streoheim), a dispetto delle sue nobili origini e dell'educazione prussiana rigida, è un uomo di grande sensibilità e rispettoso verso il nemico francese, nonostante per colpa della guerra abbia subito lesioni permanenti che hanno pregiudicato il suo servizio attivo nell'esercito e per questo si ritrova nell'ingrato compito di capo del castello.
Von Rauffenstein è divertito dagli strambi tentativi di fuga praticati da Marechal e Rosenthal, ma il legame più profondo lo stringe con De Boldieu, essendo quest'ultimo di origini aristocratiche tanto quanto lui e per questo un uomo degno con cui poter conversare a differenza degli altri due figli di una Francia "rivoluzionaria", che il capitano tedescoin virtù della sua formazione militarista tipica della nobiltà prussiana (la Germania all'epoca era una monarchia, quindi i titoli nobiliari avevano un valore) non comprende e guarda con sospetto, poichè ha amaramente compreso che dopo la guerra a prescindere da come essa finirà, l'aristocrazia sarà consegnata ai libri di storia e si avrà la definitiva ascesa della borghesia e del proletariato, autori di altri conflitti in futuro da cui loro saranno esclusi poichè sono figure superate dal tempo. E' un Renoir che scava a fondo nei personaggi per tirare fuori da ognuno di loro un barlume di sincera umanità, per questo magari può ricevere oggi accuse di dare un ritratto eccessivamente "cavalleresco" della prima guerra mondiale; però è anche vero che uno studio approfondito su tale conflitto ci sarà solo anni dopo, specie quando verrà messo in relazione con la più devastante seconda guerra mondiale combattuta si in scala industriale, ma con armi ben più micidiali e catastrofiche.
Le frontiere sono un qualcosa creato dall'uomo di cui la natura se ne frega, così come il sentimento di umanità appartiene a tutti anche a coloro che si considera come il peggior nemico da abbattere a tutti i costi; ne darà prova Von Rauffenstein raccogliendo l'unico fiore del castello per commemorare un uomo che ha rispettato profondamente; così come Marechal e Rosenthal dovranno fare conoscenza con una civile tedesca di nome Elsa (Dita Parlo) prima di comprendere a fondo la necessità di credere "alla grande illusione" che al termine di tale conflitto non ci saranno più guerre devastanti.
Tra Elsa ed i due francesi c'è una differenza linguistica insormontabile, una babele linguistiche d'altronde che è ben marcata sin dall'inizio del film; la donna mostra i ritratti dei suoi due fratelli e del marito morti durante le battaglie di Liegi, Tannenberg e Verdun, affermando con orgoglio misto a tristezza che sono vittorie tedesche (Verdun a me risulta che sia stata un'offensiva respinta, ma forse la propaganda tedesca all'epoca l'aveva dipinta come una vittoria), i due popoli quindi sono accomunati dale medesimo dolore, che può essere superato solo con una solidarietà umana che fà leva su dei valori comuni tra i due popoli come la religione con il tipico presepe natalizio o un gesto semplice come riempire il vuoto di una tavlora oramai diventata troppo grande da quando Elsa è sola con la figlia. La Grande Illusione è un film scevro da retorica e pregno di un pacifismo anti-militarista atto a voler trarre dai due popoli un'umanità ricercata per evitare un nuovo devastante spargimento di sangue (che purtroppo ci sarà dopo neanche due anni), seppur sia un pò contraddittorio, poichè comunque i personaggi non rinunciano al loro amore per la patria, verso la quale si sentono sempre in dovere. Grande successo di pubblico e critica, specie in Francia e in America, venne presentato alla mostra di Venezia non vincendo però il premio per via di una manifestazione sempre più controllata dal regime fascista, che non vide di buon grado un film che andava contro tutto ciò che la dittatura Mussolniana voleva per la grandezza dell'Italia, in altri paesi come la Germania nazista la pellicola venne addirittura proibita per il ritratto pacato e solidale del popolo tedesco dipinto come privo di odio, quindi contro i desideri revanscisti di Hitler e del Reich, non a caso il film venne bandito mano a mano in tutti gli stati occupati dall'esercito tedesco durante la seconda guerra mondiale e potrà essere visionato in tali paesi solo dpo la fine del secondo conflitto mondiale, quando però l'intento che era alla base del film oramai era stato totalmente spazzato via dalla tragicità della storia.
Film aggiunto alla playlist dei capolvori : //www.filmtv.it/playlist/703149/capolavori-di-una-vita-al-cinema-tracce-per-una-cineteca-for/#rfr:user-96297
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