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La grande illusione

Regia di Jean Renoir vedi scheda film

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La recensione su La grande illusione

di sasso67
8 stelle

Un caposaldo della cinematografia europea di sempre, un capolavoro del pacifismo cinematografico (direi un pacifismo non antimilitarista, se possibile), un altro grande film sulla prima guerra mondiale. La "grande illusione" è proprio la guerra: illusione di vincere, di fare qualcosa per la patria, ma anche di essere più vicini tra uomini, al di là delle barriere nazionali, linguistiche e perfino di classe sociale. Proprio per questo il maggior perdente di questa storia è l'ufficiale tedesco Rauffenberg, alfiere di un tempo che sta scomparendo, come si vede dal cameratismo che a poco a poco si instaura tra i francesi delle diverse classi sociali (Boeldieu è un nobile, Rosenthal un borghese e Maréchal un proletario). Però lo stesso Rauffenberg, il personaggio più romantico del film, ha tratti umani che i suoi colleghi della seconda guerra mondiale, ormai disumanizzati dalla propaganda della dittatura, avranno perduto; intelligentemente applica nel suo campo di prigionia il regolamento militare francese, "perché non si parli della barbarie tedesca".
Ci sono molte scene ormai entrate a buon diritto nelle antologie del cinema, come quella nella quale Rauffenberg depone l'unico fiore della fortezza sul cadavere dell'ufficiale francese ucciso, ma anche quella dei soldati tedeschi che smettono di sparare ai due fuggiaschi quando si accorgono che le due figurine nere che arrancano nella neve hanno ormai passato il confine svizzero, e quella molto ironica dei prigionieri russi che ricevono una cassa dalla zarina e invitano tutti gli altri prigionieri a banchettare con loro, prima di accorgersi che il baule è pieno di libri.
Renoir realizza un film che non ha la potenza (né la tecnica) di "All'ovest niente di nuovo" di Milestone, ma ne ha la poesia: si potrebbe dire che "La grande illusione" parte dalla farfalla che Paul tenta di raccogliere nel finale del film del 1930. Probabilmente "La regola del gioco" è un film più importante di questo, nella cinematografia di Renoir e non solo in quella, ma si tratta di due pietre miliari (milestones), di due archetipi, per il futuro del cinema mondiale. Gli attori sono strepitosi: su tutti domina, ancor più del faccione furbo di Jean Gabin, l'ufficiale impettito interpretato dal grande (almeno qui) von Stroheim.

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