Regia di Jean Renoir vedi scheda film
Deludente. Osannato dalla critica, ma è noioso, scontato, convenzionale, di lettura semplicissima in quanto di soggetto piuttosto banale.
Certo, il film è del ’37 e quasi cent’anni fa i canoni estetici erano diversi. Ad ogni buon conto, non scalda, non appassiona. Anche il soldato burlone, che dovrebbe portare autenticità e freschezza, è avvolto in una recitazione stantia di maniera. In linea con quella generale.
Assai conservatore, esalta i cliché (peraltro errati) allora in vigore, specie sul prestigio dell’aristocrazia la cui natura meglio rifulge in guerra e la cui superiorità umana apparirebbe qui giustificata.
Poetico in vari tratti, comunque lo è. Un solo episodio è davvero toccante – al di là del buonismo di fondo, che ignora i rischi e i mali che tanti soldati hanno creato sovente al genere femminile -: la donna che dà rifugio ai rifugiati. Specie quando, in 30 secondi, rammenta quanto la guerra le ha portato via dalla casa il marito e padre di sua figlia, più altri parenti. Fine, e in linea con il riserbo dell’poca, l’ellisse sul suo sentimento verso uno dei due rifugiati, Jean Gabin. Sentimento addensato dalla solitudine cui la guerra e le montagne l’hanno costretta.
Per il resto, assai poco di significativo. Rispetto ad altri classici del cinema pacifista - non a caso, la maggiore parte dei quali è incentrato, come questo, sulla prima guerra mondiale – questo non regge affatto il paragone.
L’ingenuità della lettura complessiva non manca. Manca invece una lettura seria di fondo del fenomeno storico “guerra”, e dei suoi unici veri responsabili in Occidente in età contemporanea: i capitalisti.
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