Regia di Umberto Lenzi vedi scheda film
Tra i titoli italiani favoriti da Quentin Tarantino, Incubo sulla città contaminata rappresenta la migliore, delle poche, escursioni di Umberto Lenzi nel genere horror.
Un aereo carico di contaminati atterra in un campo militare. I passeggeri, vittime di un esperimento scientifico finalizzato alla creazione di un esercito di uomini super aggressivi da utilizzare in guerra, sfuggono al controllo dei militari e contagiano i loro simili portando morte e distruzione: gli infetti, da morti, vengono rianimati da un'insaziabile sete di sangue.
Tra i preferiti visionati nelle Grindhouse da Tarantino, il film di Lenzi spicca sulle consimili produzioni: in primo luogo per una regia solida e molto ritmata, quindi per una lunga serie di trovate visive supportate da una buona colonna sonora. Primo film dove gli infetti (attenzione: non sono zombi!), sono ipercinetici, prediligono i seni e i glutei delle fanciulle (e te lo credo: c'è anche Sonia Viviani) e sono ghiotti di sangue. Memorabile la sequenza d'accecamento con attizzatoio, ancor'oggi disturbante... Contagioso.
Iperveloci infetti... contagiano gli zombi!
Il sottogenere catalogabile nel filone horror come zombie-movie presenta un percorso “storico” di certo interesse. E non solo perché i primi esemplari virati (in maniera molto edulcorata) in tal senso risalgono agli anni ’40 (Ho camminato con uno zombie, di Tourneaur) ma perché il tema a seguito del clamoroso successo riscontrato da La notte dei morti viventi (1968) e consolidato con Zombi (1978) - entrambi per la regia di George A.Romero - è stato ben assimilato dagli autori di horror all’italiana.
E se il caso titolo più riuscito rimane lo Zombi 2 di Lucio Fulci (con sequenze indimenticabili, tipo quella dello scontro subacqueo tra uno zombi e uno squalo bianco), tutta la filmografia italiana del “terrore” che si colloca tra la fine degli anni ’70 e metà anni ’80 è piena di esemplari più o meno riusciti. Va da sé che la componente “sociale” di cui il tema si faceva portavoce con Romero è del tutto estranea ai nostri registi, che puntano invece su tematiche “viscerali” e splatter finalizzate alla più pura evasione.
Ed è in questo contesto che si colloca un'opera sottovalutata, ma di dignitoso risultato. Nel 1980 Lenzi (regista di tutto rispetto che ha militato in molteplici generi, pur privilegiando il thriller e il giallo) porta sugli schermi una nuova categoria di mostri (perché nel film non si tratta – in effetti - di zombi, ma di contagiati) che si configura come primo modello di una nuova "specie" destinata (a seguito del successo di 28 giorni dopo) a invadere i nostri schermi cinematografici (li ritroviamo anche nel remake di Snyder, L’alba dei morti-viventi): una serie di ferocissimi e iperveloci zombi, scattanti, aggressivi e (di fatto) diametralmente opposti a quello che, in passato, veniva visto come mostro barcollante e instabile di una lentezza spesso esasperante.
A dire la verità, dopo questa prima (e profetica) visione di Lenzi, anche in Zombi 3 (Lucio Fulci, 1988) era stata proposta una simile tipologia di ritornanti. Il film di Lenzi gode di una buona messa in scena, valorizzata anche da un'ottima colonna sonora. Effetti gore e splatter a volontà (il duplice omicidio Sonia Viviani / Maria Rosaria Omaggio, delle quali una accecata da un attizzatoio) per un film sicuramente non epocale, ma di suggestivo risultato finale.
Umberto Lenzi
Al pari di Margheriti, Freda e Bava possiamo individuare in Lenzi uno dei primi interessanti autori di gialli post-argentiani: suoi sono titoli particolarmente riusciti tipo Il coltello di ghiaccio (1971); Gatti rossi in un labirinto di vetro (1972); Sette orchidee macchiate di rosso (1973). Portato anche per il genere poliziesco (padre putativo del Monnezza) ha dato origine a classici quali Milano odia la polizia non può sparare, Roma a mano armata e Napoli violenta. Ha saputo poi confezionare efficaci horror: La casa 3 - (Ghosthouse), Demoni 3, La villa delle anime maledette, La casa del sortilegio. Lenzi è stato uno dei più attivi registi del nostro cinema e si è cimentato anche in film di guerra, drammatici e commedie.
L'incubo di Sonia Viviani
(Estratto da: Cine '70 e dintorni - n. 4)
"Mi ricordo una scena, girata alla De Paolis, dove, tanto per cambiare, mi ammazzavano e c'era questo mostro che doveva strapparmi la camicetta e accoltellarmi con questo coltello dalla lama rientrante, solo che all'inizio mi faceva male perché non andava deciso, e siccome l'abbiamo ripetuta più volte, e la lama ogni volta mi lasciava un segno sul costato, ad un certo punto gli ho detto:
'Vai deciso, non ti preoccupare, perché preferisco che mi fai male una volta sola, piuttosto che questo stillicidio' ".
A proposito dell'effetto con punteruolo, l'attrice ricorda:
"Per girare questo effetto che dura pochi secondi ci abbiamo messo una mattinata, perché prima si gira il punteruolo che va dentro ed esce il sangue... stop... poi ti mettono un pezzettinio di non so cosa per far vedere l'occhio che esce fuori... stop un'altra volta... e poi ti mettono l'occhio di bue, appiccicato con qualcosa sopra a quello vero, che tra l'altro mi bruciava da morire, perché è rimasto praticamente chiuso per non so quanto tempo con questa cosa sopra.
Poi c'è stata un'altra scena in cui Lenzi mi disse:
'Te la senti di fare un piano sequenza dall'entrata della porta al salone?"
(....)
Giriamo questa scena e va tutto bene, nonostante il mio terrore per le battute in inglese, per cui Lenzi mi si avvicina e mi fa:
'Vedi che avevo ragione a darti fiducia?', e lì mi sono seduta su un divano ed ho cominciato a ridere da sola, come una pazza, per smaltire tutta la tensione che avevo accumulato."
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