Regia di Oliver Stone vedi scheda film
Cosa si può fare in venti minuti? Assistere a mezza partita di basket, stare in fila alla posta sbuffando, far scuocere un risotto, appisolarsi con un libro in mano rivelatosi un acquisto incauto. Un film si guarda, tutto, perché si aspetta il colpo a sorpresa, il ribaltamento, la rivelazione. I famosi venti minuti iniziali di Natural born killers a distanza di tempo restano sempre notevolmente appaganti e stimolanti, ma preludono a qualcosa che non c’è: il film. Storia di una coppia, Mickey e Mallory, assassini nati celebrati dai mass media che ne amplificano e ne sfruttano le gesta. I primi venti minuti sono effettivamente un corollario linguistico e visivo da antologia del cinema post moderno, contaminato e avvincente, immagini a raffica in continua mutazione genetica, con una forte carica inventiva e psichedelica, abbaglianti quanto piene di promesse. Peccato che una volta sintonizzato il canale comunicativo e recettivo con quello dello spettatore, né i personaggi né la storia hanno uno sviluppo o dimostrano di seguire un percorso di trasformazione parallelo alle scorribande on the road dei due protagonisti. Essi sono descritti con un profilo grottesco, eccessivo e crudele, ma il mondo intorno a loro lo è altrettanto, con le stesse caratteristiche di forzata anormalità e dopo il folgorante inizio non può più sorprendere o interessare. La messa in scena si ripete con le stesse modalità pur cambiando sfondo e situazioni, il film denuncia un sotto testo drammaticamente uniforme che risulta più conformista e appariscente anziché tendere a sollevare qualche interrogativo. Ulteriore esempio è la presenza di due personaggi che fungono da osservatori delle criminali imprese di Mickey e Mallory: il giornalista Wayne Gale e il detective Scagnetti, entrambi sulle loro tracce, da subito il regista li presenta allo stesso livello morale dei due assassini, eccessivamente forzati da non risultare per niente credibili, non perché il loro comportamento non lo sia, ma perché appare senza giustificazioni, privo di un processo mentale ragionato o inconscio. Tutto è ridotto ad uno scenario iconografico, ad una macchietta autoreferenziale, ad un espediente puramente estetico che risulta fastidioso. La sceneggiatura in origine era di Q.Tarantino, che poi la sconfessò, contestandone la trasformazione operata da Oliver Stone che da parabola pulp che eleggeva Mickey e Mallory quali eroi generazionali, riscriveva un confuso e irrisolto atto di accusa sociologico verso i mass media americani rei di alimentare i gesti criminali più efferati, con la loro attenzione spasmodica. L’unico merito di Naural born killers è quello di anticipare lo zapping emotivo al quale oggi siamo sottoposti davanti al televisore, e che senza un adeguata rete di protezione dell’intelletto ci consente di passare da uno stato d’animo ad un altro, senza mediazioni, senza pause, come esseri passivi senza l’avvallo di un pensiero critico nella pura irrazionalità di fare trascorrere del tempo (anche più di venti minuti).
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