Regia di Herbert Ross vedi scheda film
Raramente sbaglia un colpo, Neil Simon. Può non aver scritto tutti capolavori, ma è raro trovare un commediografo che riesce a trovare l’equilibrio narrativo. Non fa eccezione il godibilissimo California suite, una girandola brillante e malinconica di cinque coppie che occupano altrettante stanze di un albergo a Los Angeles. Non tutti i segmenti sono memorabili (l’episodio all black con Bill Cosby e Richard Pryor non sa essere demenziale al punto giusto; Walter Matthau se la cava con quel gran mestiere che aveva), ma, direbbe Totò, è la somma che fa il totale.
Se il frammento, amarissimo, con Jane Fonda donna in carriera newyorkese e Alan Alda sceneggiatore rigenerato è una variante sull’elaborazione del dolore (mai dichiarato) della fine di un matrimonio e sulla possibilità di qualcosa dopo di esso, è l’episodio inglese a colpire al centro: l’antiquario (forse) omosessuale Michael Caine (finissimo ed arguto) regge lo strascico della fragile regina alcolizzata Maggie Smith, attrice shakespeariana che si ritrova candidata all’Oscar come miglior attrice per un insulso film comico. La sconfitta la ucciderà, ma per motivi meno banali di quelli che si potrebbero pensare. Dame Maggie è strepitosa nella rappresentazione di questa donna nervosa e tagliente, innamorata e sagace, affogata nel gin lemon nel momento in cui si rende conto della plastica vacuità della sua vita (di coppia). Tenerissimo il bacio che si dà con Sir Michael, una lacrima fa quasi in tempo a scendere. Oscar alla miglior attrice non protagonista.
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