Regia di Mario Monicelli vedi scheda film
In tutta sincerità ho sempre odiato le feste, e non fanno eccezione le festività natalizie che sono una tradizione annuale. Troppa gente, troppa formalità e soprattutto tanta ipocrisia tra tutti i partecipanti. Ogni anno sono costretto ad incontrare, insieme a parenti e conoscenti che mi fa' piacere incontrare, molta gente che scaricherei volentieri giù da un dirupo, poiché li odio.
Eppure la tradizione di Natale (come di ogni festa), impone sorrisi forzati ed auguri formali perché non sentiti intimamente. In sostanza il parente è infame perché imposto da un legame di sangue, l'amico invece lo si sceglie.
È interessante notare come tutto questo non sia raccontato da nessuno, poiché molti film di Natale americani ed italiani, sono un elogio ipocrita e buonista alle festività di Natale, che dovrebbero tirare fuori di noi il meglio dall'essere umano (Da Frank Capra ad oggi nulla è cambiato in pratica).
Questo film; Parenti Serpenti (1992), del regista Mario Monicelli (di cui mai avevo visto nulla), che ho per caso beccato in televisione qualche giorno fa', finalmente ha il coraggio di raccontare la realtà delle cose e di mostrare la cattiveria su cui si reggono i rapporti umani.
Per l'analisi occorre partire dall'anno di uscita, il 1992. Il muro di Berlino è crollato, il pericolo comunista; incubo del mondo occidentale per quasi 50 anni, è stato definitivamente sconfitto, ed il capitalismo ha trionfato ponendosi come unico sistema economico possibile. I vecchi partiti italiani sono in crisi ideologica poiché ancora ancorati alla guerra fredda, e di lì a poco saranno spazzati via da Tangentopoli, per lasciar spazio al periodo più buio della storia italiana segnato da Berlusconi e dai post-comunisti traditori dei loro valori.
La borghesia italiana non ha più bisogno di fare fronte comune contro il pericolo rosso e quindi può ricominciare la lotta tra i propri componenti, poiché ogni valore e tradizione unificante, non ha più senso di esistere. Monicelli ambienta il film in un piccolo paesino dell'Abruzzo, dove 4 figli, si ritrovano per festeggiare le festività di Natale, insieme ai propri genitori; nonna Trieste e nonno Saverio (affetto da demenza senile).
Tutto questo è intervallato dalla voce fuori campo del piccolo Mauro, figlio di Lina e Michele, che ha come compito di Natale, un tema sulla descrizione delle festività.
Il film tratto da una pièce teatrale, dopo un breve inizio dove grazie a 4-5 piani sequenza il regista riesce ad immergere lo spettatore nel folklore e nel clima di festività di Sulmona, è ambientato all'80% nelle quattro mura di casa di nonna Trieste. Monicelli riesce grazie all'uso accorto della profondità di campo e al dinamismo della sua regia nelle sequenze di dialogo, ad aggirare l'ostacolo del teatro filmato, riuscendo a fare una buona descrizione dei vari membri della famiglia, differenti per collocazione geografica, lavorativa e politica.
Tra sterili chiacchiere di attualità politica e di svaghi chic (un discorso privo di significato sul yoga) e una televisione onnipresente che fa' continuamente capolineo, Monicelli smonta il rito del Natale, riducendolo ad una festività priva di alcun significato, poiché frutto di un atto meccanico e non di un sincero sentire. Il realismo quotidiano è forte, visto che ogni componente sparla dei presenti e non, in compagnia altrui, cercando di non farsi sentire, oppure la gioia della nonna anziana per un arcano rito.
Anche la religione non è esente da ciò, visto che tutto il paese và alla messa di mezzanotte, eppure sottovoce spettegolano l'uno dell'altro. In sostanza, anche la messa di Natale, è divenuto un modo per apparire e non un rito a cui si è partecipi. In poche parole, Gesù si è sacrificato per nulla.
Se nella prima parte il compromesso ipocrita tra parenti reggeva, quando nonna Triste chiede ai figli di decidere d'ora in poi chi dovrà ospitarli, ecco che la tregua viene meno, e il gioco al massacro comincia.
Tra veleni, accuse e risentimenti, i parenti diventano viscidi serpenti, poiché nessuno vuole rinunciare alla propria libertà né compromettere il proprio orticello.
Monicelli è spietato, non risparmiando nessuno, che sia democristiano, comunista, eterosessuale o omosessuale, alla fine prevale il proprio piccolo spazio e la lotta per la "roba". Anche nonna Trieste non è esente da critiche, visto che questo inutile rito, ce lo portiamo dietro per via delle anziane generazioni.
Alla fine i parenti opteranno per una drastica soluzione definitiva, scandita da giochi di sguardi, indagati da un continuo movimento di macchina ininterrotto sui loro volti.
A quanto ho letto qui dentro, il film purtroppo fu un flop al botteghino, e la cosa non mi stupisce vista l'ipocrisia italiana sulle festività e la scarsa autoanalisi delle borghesia nostrana, che avrà preferito sicuramente la commedia scema e buonista, imperante in quel periodo. Mi spiace che anche la critica non abbia molta considerazione di questo film, che in tutta sincerità, è una delle migliori commedie degli ultimi 30 anni. Certo, il film magari ha dei cali di ritmo nella prima parte, e forse troppa caricatura eccessiva in alcuni personaggi, ma la cattiveria e l'analisi sociologica sopraffina, ne fanno un saggio della commedia da studiare e tramandare ai posteri.
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