Regia di Mario Monicelli vedi scheda film
Parenti serpenti? Magari! Qui abbiamo figli dapprima impertinenti e poi …letalmente sconvolgenti, ben più dei rettili che invece non sempre lo sono!
Cari “Amici miei”, pungente pellicola questa di Monicelli, senz’altro consigliabile a chiunque ma in particolar modo a coloro che, non disdegnando situazioni di conforto per il futuro, confidano su una prole più o meno numerosa (il sottoscritto è fra questi). Al termine della proiezione, se di sana e robusta costituzione, ci si rialzerà senza dubbio confortati da una più rosea visione del mondo!
Monicelli, maestro indiscusso della commedia all’italiana, probabilmente non solo possedeva un cinismo di fondo (come asserito da Carlo Verdone nel corso di un’intervista del 2010), ma era il “teoreta” della commedia drammatica intrisa di un cinismo intinto a sua volta nell’essenza dell’ipocrisia!
E questa consapevolezza prepara la nostra attesa nello scorrere dei primi innocenti novanta minuti; nell'arco di questa ora e mezza il “quadro” della famiglia “tipo” effonde tutto il bene e il male che le consuetudini prevedono nei contesti trattati. La regola “Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi”, almeno nella prima delle due ricorrenze, viene assolutamente rispettata senza eccezioni.
Saverio e Trieste hanno quattro figli, uno single e tre sposati, e non possono pretendere di più sul fronte affettivo: tutti presenti per i giorni delle festività natalizie in casa dei nonni, i figli e le figlie con nuora, generi e i due nipoti Monica e Mauro. Proprio di quest’ultimo è la voce narrante fuori campo che con la sua cantalenante cadenza ci presenta, uno a uno e con dovizia di particolari, le varie figure di quella che si rivelerà un’inquietante accolita, nonché la location teatro della vicenda (ovvero Sulmona). Teatro di nome e di fatto in quanto di piece teatrale d.o.c. si tratta, e di quelle toste, non manca proprio nulla! Non a caso il cast vanta fior di attori dalla formazione teatrale di lungo corso: nonno Saverio (Paolo Panelli), la nonna Trieste (una Pia Velsi davvero superba), il figlio Alfredo l’unico non sposato (un Alessandro Haber memorabile nel monologo rivelatore del suo status di omosessuale), la nuora Gina moglie del figlio Alessandro (un’ottima Cinzia Leone), la figlia Lina (Maria Confalone) col marito Michele (Tommaso Bianco) entrambi provenienti dalla Scuola di Eduardo de Filippo, il figlio Alessandro (Eugenio Mesciari ) e, per concludere, Monica Scattini nei panni dell’altra figlia Milena (in perenne crisi esistenziale a causa della sua sterilità) con il marito Filippo (un grande Renato Cecchetto).
Ardua impresa sarebbe quella di stilare una classifica sulle loro prestazioni, tanto sono equilibrate ed efficaci le interpretazioni dei vari personaggi.
I primi due terzi della pellicola, come sopra accennato, scorrono con intelligenti ed eloquenti presentazioni dell’alienata “italica provincia” del benessere, tanto opulento quanto egoistico nel suo sopravvivere ammorbato da una farragine di effetti collaterali, la cui eziologia va ricercata equamente nella grettezza culturale in cui galleggia, oltreché nell’ipocrisia asfissiante e dilagante dalla quale nessuno dei componenti (pur nella loro eterogenea situazione lavorativa) è riuscito ad affrancarsi.
L’accozzaglia proposta da Monicelli è, a dispetto del termine che ho consapevolmente adottato, oltremodo efficace ad ampio spettro:
banali dialoghi femminili sugli effetti miracolistici di questa o quella attività, battute fuori luogo dell’intrallazzatore democristiano, ingenua bontà d’animo del nostalgico comunista la cui moglie sarà la prescelta per la prima delle “bordate riservateci dalla regia
(e che bordata)! Ovviamente, in alcune delle rare sequenze girate in esterni, anche la comunità del piccolo centro in oggetto avrà la sua dose di pungenti attenzioni, compresa la Chiesa, la cui messa di mezzanotte sarà occasione per "i" fedeli di osservare il comandamento “Ricordati di desiderare la donna d’altri” e, per “le” fedeli, “Ricordati di spettegolare sulla famiglia d’altri”, esibendosi nel contempo in una sfilata di alta moda (o per lo meno tali sarebbero le intenzioni). Insomma, una sceneggiatura ottimale volta a favorire l’identificazione dello spettatore con il promettente quadro contestuale.
Me è negli ultimi trentacinque minuti che Monicelli ci riserva una serie di “scossoni” (l’ultimo davvero esplosivo) destinati gradualmente a ridestare l’attenzione anche degli eventuali spettatori che, nell’incedere stuzzicante ma classico della commedia, si fossero eventualmente, se non proprio assopiti, blandamente rilassati.
Il burbero Maestro già con Un Borghese Piccolo Piccolo non era stato troppo “leggero”, ma con questo lavoro ci travolge con un vero e proprio macigno. Vero è che l’epilogo potrebbe comprensibilmente essere giudicato eccessivo (probabilmente l’artificiere Monicelli ha calcato un po’ la mano nel dosare la carica esplosiva per il gran botto finale, e questo potrebbe aver scagliato la verosimiglianza ben oltre il limite massimo di demarcazione), ma non per nulla il genere rientra nel grottesco e non nel drammatico per eccellenza.
Le famiglie del film sono tre (oltre al single Alfredo e ai nonni) ma rientrano tutte nella stessa patologica categoria, inguaribilmente avvezza a ogni ipocrita grettezza oltreché malcelata dietro stereotipati atteggiamenti formali (uno per tutti, il mantra rivolto a ogni nuovo invitato da Gina: “Come stai? Stai bene? Son contenta!”), dove apparentemente a salvarsi sono solo le due fasce di età estreme, ovvero i nonni Saverio e Trieste e i nipoti Mauro e Monica; i primi in quanto cresciuti in un contesto storico che ha garantito loro quella trasparenza comportamentale che sarà meno facile acquisire nei decenni successivi (quelli dei loro figli) e i secondi per la purezza d’animo e l’assenza di malizia corroborata dalle alte dosi di schiettezza e sincerità tipiche dell’età evolutiva.
Allorquando l’empatica Trieste - nella sua genuina convinzione che le manifestazioni affettive di cui è oggetto siano garanzia di quel disinteressato altruismo normalmente profuso dai figli - esterna la proposta della nuova soluzione meditata per lei e nonno Saverio (la cui gestione, non vantando più performances intellettive al top, inizia a comportare qualche preoccupazione di ordine pratico), involontariamente innesca la miccia, e da questo "innesco" la “festa” cambia colore!
Dapprima è l’ipocrisia a far da padrona: tutti ostentano un fasullo compiacimento simulando gaudium maximum all’inatteso progetto ma, gradualmente, nei giorni successivi e al riparo da occhi e orecchi degli anziani genitori, i toni mutano e le meschinità, fino ad allora esternate sotto voce al solo momentaneo interlocutore, subiscono un’amplificazione foriera di toni efferati dove nessuno si salva, fino all’intuizione finale, apoteosi della mediocrità morale e della pochezza di spirito palesati attraverso un celato e subdolo sguardo!
--La realizzazione di quanto ordito (attraverso il tacito complotto) paradossalmente non comporta strascichi emozionali come verosimilmente ci si potrebbe attendere dalle parti in gioco in quanto - rientrando queste nel quadro di una diffusa insufficienza esistenziale intrisa di grondante ipocrisia - tutte relegano tout court la concreta realtà in una zona buia dell’inconscio, inficiandone in tal modo i potenziali effetti inibitori a favore della nuova contingente situazione. Situazione palesemente fasulla ma prioritaria ai loro occhi contaminati!
Considerazioni
--Tutti cresciuti ed educati nel permissivismo, nella tolleranza oltre che nell’abbondanza (che non di rado è sinonimo di egoismo ed egocentrismo), ma la grande assente è la più banale, quella che non necessita di lauree specialistiche per essere messa in pratica in quanto richiede semplicemente una dimensione che la civiltà dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) garantire congenitamente nel nostro DNA etico: la COSCIENZA!
Un Monicelli amaro, inclemente, forse impietoso e quasi crudele (come d'altra parte sarà in seguito anche con se stesso) ma con un fondo di cocente realismo. Da non perdere!
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