Regia di Robert Altman vedi scheda film
"California poker" è molto originale e non ha niente a che vedere con gli altri film basati sul gioco: qui non si vedono i giocatori che stillano le carte, che sudano in attesa di vedere il punto, non ci sono polli da spennare né professionisti che ti mandano a casa in mutande. Il rischio c'è, senza dubbio: Bill si vende anche la macchina per giocare a Reno, ma il rischio principale è quello di accorgersi, alla fine, dopo una favolosa vittoria, che niente ha senso, alla fine dei giochi, nemmeno i soldi vinti. In fondo si trattava soltanto di un giro di dadi, di una botta di fortuna, di un gioco, così come era un gioco per gli eroi della mitologia, per i cavalieri della tavola rotonda, per i politici di oggi, come dice Charlie. E alla fine resta un senso di vuoto, o forse di caos, testimoniato da vari particolari disseminati lungo il film: la folla degli ippodromi, le cartacce, gli scambi di posto sull'autobus, personaggi disseminati e poi perduti (la spogliarellista del go-go club, la donna dell'autobus, quella del bar), le numerose donne il cui nome è Barbara eccetera. E proprio "a Barbara" è dedicato, in chiusura, il film, che è una riflessione amara di Altman, un saggio di pessimismo e forse uno dei suoi migliori lavori (quanto meno di quelli che ho visto).
Il taciturno giornalista in crisi Bill conosce al tavolo da gioco l'estroverso e logorroico mantenuto Charlie che, dopo una comune disavventura, lo porta nella casa in cui vive, ospite di due scanzonate prostitute. Tra i due uomini nasce una complicità basata proprio sul fascino del gioco che è però vissuto dai due in maniera opposta. Charlie gioca per divertirsi e per esibire (e poi sperperare) il frutto della vittoria; Bill interpreta il gioco come una prova di concentrazione e la vincita non è che il frutto di questa abilità. Dopo varie disavventure tra sale da gioco e ippodromi (non è importante quale gioco, l'importante è che di gioco si tratti), i due decidono di andare a giocare a Reno, città famosa per il gioco seconda soltanto a Las Vegas.
Ovviamente al buon esito di "California poker" contribuiscono in maniera decisiva anche le ottime performance dei due protagonisti: a un vitalissimo Elliott Gould (già con Altman per "M.A.S.H.") si oppone un George Segal (attore forse un po' sottovalutato, relegato troppo speso in parti inutilmente brillanti) bravissimo nell'impersonare uno spleen quasi baudeleriano, messo in scena con una faccia da mal di testa da dopo sbronza o da noia post coitale. Anche grazie a questi due magnifici interpreti, "California poker" è una pietra miliare del cinema americano degli anni settanta.
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