Regia di Robert Altman vedi scheda film
"E' inutile arrabbiarsi, questo è un gioco! Una volta vinco io e una volta perde lei…”
Storia di un’amicizia, quella tra due sbalestrati giocatori incalliti che si conoscono casualmente ad un tavolo da poker. William (George Segal) è un giornalista divorziato, perennemente senza soldi e pieno di debiti. Charlie (Elliott Gould), sbruffone e logorroico, coabita con due giovani prostitute e vive alla giornata. La loro amicizia nasce dalla comune attitudine alla sconfitta, e si intensifica tra nottate passate nelle sale da poker e giornate trascorse a scommettere su di tutto, dai cavalli alla boxe. Stanchi dalle ripetute perdite, riescono a racimolare una quantità di soldi e partono per Reno, intenzionati a fare il colpo grosso.
California Poker è un’opera di passaggio nella filmografia di Robert Altman, generalmente meno apprezzata rispetto ai grandi capolavori del suo periodo d’oro, gli anni Settanta. Opera di passaggio in quanto funge quasi da ponte tra film fondamentali quali M.A.S.H., I compari, Il lungo addio e Gang, e l’ambizioso e complesso capolavoro Nashville del 1975. Quando riceve la bellissima sceneggiatura di California Poker, scritta dall’attore Joseph Walsh, Altman se ne innamora subito e decide di prendersi una pausa da opere più produttivamente imponenti, continuando nel contempo a radiografare la società americana nelle sue sfaccettature e nei suoi bassifondi. California Poker, soltanto in apparenza un film più leggero e scanzonato, è invece l’ennesima parabola su un’America allo sbando e in costante crisi di identità. I due protagonisti sono due sfaccendati, amabili perdenti, figli di un paese che allontana e mette sempre da parte gli ultimi della classe. Il primo, sempre triste e riflessivo, vive un’esistenza insoddisfatta, legata ad una professione che non lo soddisfa e ad un costante bisogno di denaro. Il secondo, invece, si adagia in una modesta esistenza, tra piccole vincite, botte e furti subiti. Due perdenti nati, insomma, gli ennesimi nella carrellata dei personaggi altmaniani. Due personaggi magnifici, impossibili da non amare e da non affezionarcisi. Affidati alla straordinaria verve di due interpreti affiatatissimi, George Segal e Elliott Gould che Altman lascia liberi di improvvisare. Intorno a loro, un campionario di personaggio minori caratterizzati però con la solita dovizia e attenzione. In particolare le due prostitute Barbara e Susan, dolci, tenere, che tentano di coniugare il bisogno di denaro con una urgente necessità di affetto. Tutta la prima parte è quanto di più sperimentale ci si possa aspettare: apparentemente improvvisata, quasi senza trama procede tra sbronze, uscite in coppia, scommesse di ogni tipo e rapide partite a carte. Eppure Altman vivacizza sempre con una messa in scena veloce, con una macchina da presa che non sta ferma un momento, con i soliti piani stretti sui volti dei personaggi ed un utilizzo del sonoro che non concede tregua, tra dialoghi costanti dentro e fuori campo. L’ultima mezz’ora, con l’arrivo a Reno, diventa scoppiettante: l’ingresso nella sala da poker è una sequenza da antologia, con Charlie che fa una radiografia di tutti i giocatori seduti al tavolo. Ed il finale svela una malinconia di fondo che era intuibile durante tutto il film ma che viene fuori nel momento meno aspettato. La tanto agognata vittoria non cambia niente nei loro stati d’animo, anzi li peggiora. “Non c’è stata nessuna sensazione nel vincere”, constata amaramente William. È l’amaro destino dei giocatori: per loro giocare è più divertente che vincere. Magnifico.
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