Regia di Jacques Tati vedi scheda film
Un tributo al cinema americano comico e, in maniera più ampia, al cinema in generale ma, in parallelo, una critica nemmeno troppo velata alla prepotente e ingombrante presenza statunitense nella vita quotidiana dei francesi, e non solo.
Primo lungometraggio diretto e interpretato dal maestro francese Jaques Tati, risalente al 1947 (ma ufficialmente distribuito nel ‘49), riprende in maniera netta e immediata la slapstick americana di un ventennio prima di Buster Keaton, Charlie Chaplin e Harold Lloyd.
La vicenda ruota tutta intorno al paesino bucolico di Sainte-Sévère (luogo reale in cui lo stesso regista aveva trovato rifugio negli anni della guerra, e i cui abitanti vengono inseriti come varie comparse), in un giorno festoso, con i preparativi precedenti (l'issare del palo con lo stendardo francese e l'allestimento delle giostre, la sistemazione del bar con le sue sedie ri-dipinte e la vestizione delle varie figure femminili, in particolare della pettoruta e ammiccante locandiera), lo svolgimento stesso della festa (i giochi tipici delle sagre come il tiro a segno, le bevute nel locale e i giri nella giostra dei cavalli) fino al post-festa (il ritorno a casa, la ragazza che si toglie le scarpe col tacco, gli uomini in hangover il giorno seguente). Il tutto è accompagnato dalle gesta comiche del postino Francois/Tati, che si intromette in vari modi e interagisce con tutti gli abitanti del paese in maniera impacciata, tanto da essere spesso deriso e trattato dai compaesani come lo scemo del villaggio. È nella figura del portalettere che Tati rende omaggio alla tradizione comica americana, generando una serie di gag improbabili grazie ad acrobazie e pasticci (degni di Buster Keaton), dopotutto Tati era un gran atleta: il postino, infatti, dopo aver visto un film sul nuovo metodo più veloce ed efficiente di consegnare la posta (con tanto di aerei, paracaduti e concorsi di bellezza per Mr. Postino) vuole adottare lo "style american" anche nelle sue consegne giornaliere e, incitato (ma solo per deriderlo) dai vari personaggi, si ritrova con la sua fidata bicicletta in rocambolesche situazioni ilari fino addirittura a gareggiare in una corsa ciclistica, finché, nella conclusione,la vecchia del paese, portavoce e simbolo della vita tranquilla di campagna e dei ritmi di vita ancora a misura d’uomo, tranquillizza il povero Francois, consolandolo ed esortandolo a “lasciare agli americani le loro invenzioni, ogni cosa ha il suo tempo e il suo momento”. Ed è qui che il film si rivela come una riflessione su quello che sono il post guerra e la situazione francese dopo la vittoria della Seconda Guerra Mondiale da parte degli alleati e, in particolare degli americani: un continuo confronto e tributo a coloro che, sì, hanno liberato la nazione, ma che allo stesso modo hanno imposto il loro stile di vita (ma non solo) al vecchio continente, costringendo anche le piccole situazioni di campagna, come Sainte-Sévère, a una corsa rompicollo per cercare di essere al passo con gli standard americani.
Un tributo, quindi, al cinema americano comico e, in maniera più ampia, al cinema in generale ma, in parallelo, una critica nemmeno troppo velata alla prepotente e ingombrante presenza statunitense nella vita quotidiana dei francesi, e non solo.
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