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Giorno di festa

Regia di Jacques Tati vedi scheda film

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La recensione su Giorno di festa

di Peppe Comune
9 stelle

Nella piccola cittadina francese di Sainte Sèvère è in corso l'annuaria festa di paese. L'atmosfera gaudiosa aleggia nell'aria e coinvolge ogni cittadino del piccolo centro rurale. Francois (Jacques Tati) fa il suo solito giro per la consegna della posta, tra saltimbanchi e bancarelle. E' un tipo ingenuo Francois e un pò tutti si divertono a prenderlo in giro, alla buona però, senza cattiveria. Alla festa arriva anche il cinema ambulante che trasmette un film documentario sul servizio postale americano, dinamico, efficiente e con dei postini che sembrano dei supereroi. Francois ne rimane colpito e invogliato da Roger (Guy Decombe) e Marcel (Paul Frankeur), quelli che più si burlano di lui, decide di adeguarsi mettendosi a consegnare le lettere facendo piroette sulla bicicletta e correndo come se stesse facendo una corsa contro il tempo. Con esiti naturalmente esilaranti.

 

 

 

Prima della serie di film incentrati sulla figura di Monsieur Hulot, con cui Tati si è gaudiosamente divertito a mostrare in chiave grottesca i possibili effetti alienanti che gli incipienti segni del progresso tecnologico possono avere sulle persone e sugli stessi equilibri sociali, con "Giorno di festa" ha rappresentato le goffe peripezie di un umile postino di paese, punto focale del pubblico divertimento e agente dimostrativo di come si possa essere facilmente succubi delle necessità indotte partorite dallo spirito di emulazione se le persone sono portate ad adottare diversi stilemi corpontamentali senza averne misurato il grado di effettiva funzionalità sulle loro vite. Insomma, in questo suo primo lungometraggio c'è già tutta la poetica di Jacques Tati, anche se ci si trova coinvolti in un piccolo centro rurale letteralmente eccitato dalla sua sagra paesana, tra animali, anziani signori e un'umanità variopinta, e non sommersi nel caos cittadino tra architetture avveniristiche e sofisticati aggeggi elettronici che arredano appartamenti ipertecnologici. Qui, a evocare un originale tipo di critica condotta contro la società dei consumi non sono, come al solito, la vasta gamma di oggetti che popolano le città industrializzate e che in mano a Tati sembrano immani diavolerie, ma il contrasto tra quelli che potremmo chiamare il "tempo dell'attesa europeo" e "il tempo dell'efficientismo americano". Tra i ritmi lenti di un paese di campagna a cui si adegua docilmente Francois, che viene continuamente distratto da altre incombenze dato che sembra esserci sempre tempo per la consegna della posta, e quelli velocissimi praticati dai postini americani mostrati dal film documentario, dove, invece, il tempo sembra non bastargli mai. Chiaramente, ad ausilio di chi non conosce abbastanza il cinema di Jacques Tati, urge sottolineare come le invettive contro la società consumistica (tra le più radicali rinvenibili al cinema) siano cosparse di sagace spirito goliardico e bellamente pavesate a festa. Hanno la sostanza di gag esilaranti e la forma dinoccolata di un corpo malleabile, frutto di uno straordinario talento comico, di un indole anarcoide e di una rappresentazione volutamente straniante della realtà (a cui si avvicineranno autori come Otar Iosseliani e Aki Kaurismaki). Jacques Tati si comporta alla maniera di quei buffoni di corte che, dall'alto del loro ruolo d'artista, potevano satireggiare sul potere mostrandone tutte le nudità. Tati mostra gli elementi disfunzionali di una società che correndo sempre troppo in fretta non sa più fermarsi ad aspettare. Un grande autore con un corpo rivoluzionario.

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