Regia di Alberto Bevilacqua vedi scheda film
All’epoca Alberto Bevilacqua era un nome della letteratura italiana. Oggi lo trattiamo da grande maestro, ma in realtà sappiamo bene che le sue cartucce migliori le ha sparate da ragazzo. In ogni caso, La califfa è il suo film d’esordio, sofferto perché Rizzoli (che aveva acquistato i diritti in un primo momento) voleva affidare l’allestimento ad un regista più esperto e la parte principale ad un attore internazionale. La mano passò in seconda battuta a Mario Cecchi Gori che concesse a Bevilacqua la pressoché totale direzione del film.
Resta, nei suoi limiti e nei suoi difetti, il miglior film del parmense. Bello per un certo gusto della messinscena forse manierato ma sicuramente efficace (Bevilacqua conosce Parma, di cui è stato il cantore per un periodo abbastanza lungo, così come il buon Bassani lo è stato di Ferrara) e per una dimestichezza della materia pertinente (la cosiddetta cognizione di causa: personaggi come l’industriale fallito di Massimo Serato o situazioni come gli scioperi di sinistra sono indissolubilmente legati ad una schietta familiarità con gli argomenti).
Non appassionante per alcune carenze gravi: manca una vera elaborazione dell’amore tra l’operaia la califfa e l’industriale Doberdò che non sia legata alla componente sessuale (ossessiva in alcuni frangenti), manca una vera contestualizzazione sociale che vada al di là della mera ricostruzione didascalica, manca un’analisi (che il film vorrebbe avere) che faccia allontanare il film dall’ovvio schematismo di fondo.
Dalla sua, però, ha all’attivo una colonna sonora d’alta scuola (Ennio Morricone romantico quanto basta) due eccellenti interpreti: Romy Schneider getta nel cassonetto Sissi e conferisce alla sua figura una sensualità indiscutibile; Ugo Tognazzi vola alto con ruvida e repressa passione.
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