Regia di Clint Eastwood vedi scheda film
1963. Tre settimane prima della morte del presidente Kennedy, Butch Haynes (Kevin Costner), evaso dalla prigione di Hunstville, e dopo aver preso in ostaggio un bambino testimone di Geova, viene inseguito tra le strade polverose e tra i campi verdi del Texas, dal ranger Red Garnett (Clint Eastwood) e dalla psicologa Sally Gerber (Laura Dern).
Come ha sottolineato Paolo Mereghetti questa è "la storia di un loser dal cuore tenero".
Ed è così che Clint Eastwood interpreta il suo "mondo perfetto", un mondo "senza padri", un mondo dove è troppo " squallido scappare a piedi" ma è necessaria " una macchina del tempo con una radio accesa" che manda in onda qualche vecchia canzone folk.
Il futuro è proprio li davanti a noi e basterebbe spingere un po' di più l'acceleratore, oppure semplicemente andare piano e frenare per godersi il presente, ma mai guardarsi indietro, il passato va lasciato alle nostre spalle.
Un mondo perfetto sembra rispecchiarsi in Badlands di Terrence Malick, ma quella era una ribellione nei confronti dei padri. Mentre qui vi è un'assenza dei padri e come scrisse la giornalista del New York Times, Janet Maslin, il film di Eastwood è "l'eredità degli uomini ai loro figli" e le "frustrazioni e i loro fallimenti nell'educarli". Così il personaggio galeotto, interpretato da Kevin Costner, finisce per identificarsi con quello del bambino ostaggio. Entrambi abbandonati dai loro padri, vivono la fuga come una sorta di riscatto. Il bambino mai prigioniero, ma compagno di fuga. La simbiosi è inevitabile.
Ma il film sembra suggerirci l'universalità del tema. Eastwood ogni qual volta sembra toccare le corde dell'intimismo, ci restituisce il senso collettivo, mai individuale. Perché contestualizzare il film, in uno dei periodi più neri della storia americana? Perché Kennedy era il padre degli Stati Uniti d'America e la sua morte ha reso orfana un'intera nazione. La morte di un padre, non è solo sgomento, ma perdizione, la presa di coscienza di quanto si è soli in un mondo (im)perfetto.
Il finale del film è esemplare. Quando ormai sembra essersi creato tra il fuggitivo e il bambino un rapporto padre-figlio, la figura paterna viene di nuovo a mancare, per l'ovvia ingiustizia sociale. Ogni senso di giustizia, ogni romanticismo viene annullato, frantumato con quell'amarezza che solo Eastwood sa lasciare. L'unico destino possibile è quello della sconfitta.
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