Regia di Francesco Rosi vedi scheda film
Cristo si è fermato ad Eboli nasce come un film per la Tv. Un film di quattro parti dalla durata complessiva di circa quattro ore. Perchè dico questo? Prima di tutto per riflettere sul fatto che nel 1979 la televisione italiana (la Rai) non era solo spazzatura e che volendo si potevano realizzare adattamenti di opere letterarie molte interessanti.
Francesco Rosi sceglie un’ ambientazione perfetta per il suo film. Ne esce fuori la contrapposizione tra l’ Italia rurale e quella intellettuale progressista impersonata dalla figura di Carlo Levi. Un’ Italia contadina e quanto mai lontana dall’ ideale italico e fascista di unità nazionale e popolare. Un paese pieno della propria cultura fatta di magie, di tradizioni, di credenze popolari. Una cultura altra, insomma, da cui Levi rimane profondamente affascinato e colpito. Francesco Rosi crea un’ atmosfera propria dei paesi. Fatta di vie strette e contorte, fatta di gente affacciata alla finestra o seduta fuori di casa, gente che si ritrova nella piazza o nell’ osteria a bere. Gente perennemente sottomessa e senza un futuro, contadini vittime dello Stato che li sfrutta allo stesso modo di quanto per anni hanno fatto gli stranieri prima di loro. Per questo nel Sud Italia non hanno mai accettato lo Stato, perchè fondamentalmente per loro non è mai cambiato nulla.
Lo Stato fascista non fa altro che promettere nuove terre (quelle del presunto colonialismo africano) ai contadini, non fa altro che aumentare le bugie e le illusioni, non degnandosi minimamente di risolvere i problemi quotidiani della povera gente. Uno Stato che si prepara alla guerra e confina in paesi sperduti chi si oppone all’ ideologia di regime. Inquietanti, in questo senso, la parti in cui Carlo deve sottostare alla censura del podestà riguardo ad una sua lettera. Un’ Italia che nella sua ignoranza si prepara ad una guerra più grande di lei, intrisa dei sogni mussoliniani di grandezza e impero. Sogni di carta straccia o meglio di cartone come quello delle scarpe dei nostri soldati. Sogni di grandezza di chi non sapeva vedere la miseria della propria terra e dei propri figli. Se la Patria è la nostra madre, allora è una madre bastarda e disattenta che non si preoccupa della propria prole.
E’ incredibile pensare come venticinque anni fa si potesse fare tanto in televisione, si potesse esprimere pensieri e posizioni dichiaratamente di sinsitra ed esporre teorie politiche molto profonde. Una televisione che diventava mezzo di comunicazione reale ( in questo caso di un libro) e che non si nascondeva dietro le fiction e i programmi che ci tocca vedere a noi.
Anche se il film, soprattutto alla fine, diventa didascalico e molto cerebrale non toglie che tutta la parte ambientata nel paese sappia di vero, sappia di un ‘ Italia rurale ormai dimenticata e destinata all’ omologazione degli anonimi modellli cittadini.
Coinvolgente e sentita l’ interpretazione di Gian Maria Volontè, uno che con il cinema ci ha fatto politica.
Rimane la speranza che le cose cambino e che chi stia nella televisione ritrovi il coraggio di esprimere o raccontare un qualcosa che non sia così tanto (e lo dico con il cuore) deprimente come tutto quello che scorre inutile sotto i nostri occhi
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