Regia di Michael Cimino vedi scheda film
Opera prima criticabile, ma efficace e solida, riesce a tenere in disparte l’Eastwood dell’epoca (sempre in prima linea), facendo diventare ciò un pregio e non un punto debole, e si eleva nel giudizio grazie a un finale amaro, commovente, bellissimo. Bravissimo il giovane Jeff Bridges. Prove tecniche di Cimino per i capolavori futuri.
Sono spesso uomini soli i protagonisti dei film di Cimino, uomini stanchi che portano i segni del tempo, sempre alla ricerca di uno scopo. Soli, ma non unici, sono anzi parte integrante di un cosmo che li ha voluti e plasmati, coscientemente o meno. Spesso si incontrano, trovano nell’altro una spalla, qualcuno che non hanno mai avuto nella loro vita, un padre, un figlio, un amico o semplicemente un compagno di viaggio. Eh già il viaggio, tema che apre e chiude il film e che sa quasi di condanna per due generazioni (Clint Eastwood da una parte, Jeff Bridges dall’altra) senza radici e certezze, vuoi perché perse vuoi perché mai avute. Non c’è modo di fermarsi, i personaggi sono sempre intenti a correre, a scappare da qualcosa o qualcuno, ci si ferma solo da morti e si muore soli come in vita. Tranne per Lightfoot, al quale è lasciata la consolazione di essere stato finalmente parte di qualcosa, di aver visto il traguardo alle sue spalle e aver assaporato anche solo per un attimo il gusto amaro di una vittoria umana, innocente e per questo effimera. Opera prima difettosa, criticabile, ma efficace e solida, riesce a tenere in disparte l’Eastwood dell’epoca (sempre in prima linea), facendo diventare ciò un pregio e non un punto debole, e si eleva nel giudizio grazie a un finale amaro, commovente, bellissimo.
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