Regia di Sam Peckinpah vedi scheda film
Sam Peckinpah dirige questo film nel 1961: è il suo primo lungometraggio e il suo primo western. In precedenza aveva scritto e diretto alcuni episodi di serie tv come THE WESTERNER, o LO SCERIFFO DI DODGE CITY. A chiamarlo alla direzione del primo e vero western è Brian Keith, il protagonista della serie THE WESTERNER, cui era piaciuto il modo di dirigere di Sam. Il produttore, Charles Fitsimmons, della Pathé America-Carrousel, accetta a malincuore la richiesta di Keith, ma si ripromette di tenerlo sotto stretto controllo, dopo avergli intimato di rispettare alla lettera la sceneggiatura (scritta da A.S. Fkleischman, autore del soggetto).
Per il buon Sam ci sono pochissime possibilità di esprimersi come vorrebbe: è una produzione a basso budget (il classico B-Movie), attori poco noti (se si esclude Keith e Maureen O’Hara, sorella del produttore), tutto in economia e in fretta.
I risultati si vedono: la trama è poco credibile ( e vedremo perché), il commento musicale è inadeguato, la stampa del colore è eseguita in modo mediocre, alcuni elementi della storia sono poi palesemente sballati. Inoltre, la durata, originariamente di 90’ è stata ridotta a 79.
La storia è semplice e al tempo stesso contorta: Yellowleg (Brian Keith), un ex-soldato nordista arriva a Gila City dove incontra due avventurieri, Bill (Steve Cochran) e Turk (Chill Wills). Progettano di rapinare la banca locale, ma vengono preceduti da un’altra banda. I nostri tre sparano ai b anditi e Keith uccide involontariamente un ragazzino, figlio di Kit, un’avvenente ballerina della locale sala da ballo. Questa, disperata, decide di recarsi a Serengo, un villaggio in pieno territorio Apache, per seppellirlo accanto alla tomba del padre, ucciso pure lui in una razzia indiana, qualche anno prima. Yellowleg, per sdebitarsi e anche perché attratto dalla donna, decide di accompagnarla, assieme ai suoi due compari. Durante il viaggio, Bill cerca di approfittarsi di lei e Yellowleg lo caccia. Pure Turk se ne va e ora l’ex-soldato resta solo con lei. Egli è venuto a Gila alla ricerca di colui che lo aveva scotennato anni prima e Turk è il suo uomo. Alla fine, dopo alcune vicissitudini (non ultimo un attacco indiano), arrivano a Serengo dove avviene la resa dei conti. Yellowleg, liberato dalla sua sete di vendetta, può riconciliarsi con la vita e intraprendere con Kit una nuova vita.
La storia è poco credibile per diversi motivi: Yellowleg riconosce in Turk il suo scotennatore, ma questi no. La scelta di recarsi a Serengo, in pieno territorio Apache, sempre in guerra, da parte di una donna sola, è dissennata. Che Turk alla fine uccida il suo partner Bill invece di Yellowleg è incomprensibile. Che due banditi, sudisti, accettino di prendere ordini da un ex-soldato nordista è senza senso. Così come senza senso è che dopo essersi fatti scappare i cavalli, gli Apache non vadano alla caccia dell’autore del misfatto e che lo faccia solamente uno di loro.
Ci sono poi perlomeno altri due punti che risultano incomprensibili: il titolo italiano recita LA MORTE CAVALCA A RIO BRAVO. Ora, nell’edizione italiana, questo nome non appare mai, ma si fa il nome di Serengo, villaggio che, a quanto mi risulta, non esiste. Un altro punto, dovuto, a mio parere, all’edizione italiana è il fatto che il pastore di Gila City, non disponendo di una chiesa e utilizzando il saloon del paese per le funzioni domenicali, inviti a un certo punto i fedeli all’ascolto del Vangelo. Ora, tutti sanno che le Chiese Americane riformate (battisti, presbiteriani, quaccheri ecc.) hanno la Bibbia come testo evangelico di riferimento e non certo il Nuovo Testamento.
La pochezza dei mezzi e l’impossibilità (a causa delle imposizioni della produzione) di introdurre modifiche più personali rispetto alla sceneggiatura originale hanno reso un pessimo servizio a questo film che, diciamolo chiaro, è un vero film di serie B.
Prendiamo ad esempio il protagonista, Brian Keith: non riesce a convincere. Non è mai riuscito ad imporsi come attore di primo piano. Ha un volto che non riesce a trasmettere le emozioni che altri attori cari a Peckinpah riescono a dare, come Randy Scott, ad esempio, o lo stesso Joel McCrea, o Charlton Heston, Jason Robards, James Coburn ecc.
Nel complesso, insomma, un film deludente, più per demerito delle condizioni esterne che del regista.
Ci pare infine che la prima edizione italiana sia quella che ha introdotto gli errori di cui si è detto e che la seconda, ridoppiata, non ha fatto altro che ripeterli.
In questo quadro, l’unico a uscirne a testa alta è RAI MOVIE che ha appunto ridoppiato i dialoghi con una nota di merito per Pannofino che si sta rivelando di essere sempre più un grande doppiatore che un ottimo attore.
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