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I figli della violenza

Regia di Luis Buñuel vedi scheda film

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La recensione su I figli della violenza

di alan smithee
8 stelle

Un io narrante elogia le meraviglie architettoniche delle più celebri metropoli del mondo, ma presto declina la sua attenzione sui sobborghi meno fotogenici e più poveri che inesorabilmente disegnano e caratterizzano la periferia di ogni grande centro abitato anche all’avanguardia e situato in paesi ricchi ed industrializzati. Il discorso ci porta per le strade di una delle più popolate città del mondo: Città del Messico.

L’attenzione via via si concentra su tre ragazzi che finiscono per divenire i protagonisti ognuno della propria triste storia, che a sua volta spesso si interseca con quella degli altri.

El Jaibo è appena uscito da un carcere minorile, ma fisicamente è già un adulto fisicamente completo, e vaga tra i quartieri poveri senza avere nessun familiare a cui potersi appoggiare, sempre sul filo dell’illegalità e della clandestinità. Il piccolo Ojinto piange a ridosso di una fontana perché il padre l’ha abbandonato al mercato: troverà una scomoda sistemazione accompagnando un cieco dispotico e crudele. Pedro infine è il primo di tre fratelli, quello concepito in seguito ad uno stupro e pertanto non ripudiamo, ma nemmeno amato da una madre che lo tratta come un pezzente riservando amore e sostentamento solo agli altri due fratelli.

In un contesto tutto pericoli e minacce, soprusi e cattiverie con cui Bunuel sottolinea le brutture di una classe sociale diseredata ma tutt’altro che umile e benevola, anzi incattivita e predisposta all’autodistruzione, a cibarsi di se stessa facendo prevalere ovunque la legge del più forte e del sopruso, I figli della violenza diviene una delle occasioni che più avvicinano il grande regista spagnolo esule in Messico, al neorealismo di stampo italiano.

Esemplare la forza di Bunuel di non ricorrere mai a ricatti morali o sdolcinature, restando il film una lucida e sin crudele, ma perfettamente realistica sintesi della brutalità a cui si riduce una vita senza affetti, senza prospettive, ove lo scopo di ogni individuo si indentifica all’esigenza della belva di una giungla differente, ma ugualmente protesa a restare in vita a scapito dei mille pericoli tentacolari che la circondano ogni istante ed in ogni occasione.

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