Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
I figli della violenza, ma anche dell'analfabetismo, della delinquenza e della miseria. Soprattutto quest'ultima: come dice il direttore del carcere minorile, non si dovrebbero rinchiudere i ragazzini, ma la miseria; quella descritta dal film di Bunuel è una società impietosa che pensa principalmente a sopravvivere, sempre a testa bassa sul (duro) lavoro, e non riesce a turbarsi di fronte a nulla. Non c'è un futuro in questo sistema. I figli della violenza è uno dei primi lavori del regista spagnolo, che in quegli anni girava però in Messico; crudo negli ambienti, nelle descrizioni dei personaggi e nelle situazioni, si propone di affrontare il degrado di alcune zone ai margini della città e della civiltà con occhio acuto, ma imparziale: non ci sono colpevolizzazioni facili o capri espiatorii, solamente una rappresentazione verista delle difficili condizioni umane in quei luoghi. Se la preadolescenza di Doinel (nei 400 colpi, dieci anni dopo: un altro film, forse il più famoso, che tratta questo periodo della vita con disincanto lucido) sarà quella di un teppistello borghese in cerca di affetto, qui si parla piuttosto di delinquenti fatti e finiti, infanzie negate, innocenze lacerate, gravi problematiche sociali. 6/10.
In un paesino poverissimo messicano vivono alcune famiglie in condizioni disperate; i ragazzini crescono fra delinquenza e povertà, abbandonati dai genitori e privati degli esempi virtuosi. Ad uno di loro toccherà anche il carcere minorile. Tragedia finale.
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