Regia di Luchino Visconti vedi scheda film
Il Neorealismo italiano non era certo Neoverismo, e a dirla tutta non si avvicinava nemmeno al Realismo vero e proprio alla Flaubert, che nella sua totale impersonalità mai si sarebbe sognati di piangere insieme all'adultera Madame Bovary. Forse quel 'neo' andava inteso anche come "nuova elaborazione", "nuovo concetto di". Il Realismo dei registi italiani degli anni 40 si avvicina più al Realismo romantico alla Manzoni e alla Balzac, con i frequenti interventi dell'autore onnisciente, come quando nella pellicola intervengono Antonio Pietrangeli e lo stesso Visconti a commentare la vicenda, quasi a tradurre le situazioni che si verificano e che nel realismo del dialetto in cui sono messe in scena potrebbero apparire quasi ostiche allo sguardo medio di un italiano, o come intervenivano De Sica e Rossellini con commenti musicali imponenti e imporanti. Il Realismo italiano, che fece scuola, era accomunato dall'oggetto, le classi più povere, cose che nell'impersonalità di Flaubert né la freddezza sociologica di Zola non erano presenti (e neanche in Verga, almeno in alcuni suoi romanzi, a dirla tutta). Più però che per accomodare all'italiano medio il mondo "dimenticato" (per dirla alla maniera di De Seta) del Sud e di Aci Trezza, sulla scia di quanto espresso da Giovanni Verga nella novella Fantasticheria, l'interesse di Visconti, qui al suo secondo lungometraggio, è di sottolineare l'apparente distanza dal mondo dello spettatore, perché come ancora una volta Verga avrebbe voluto dire nel suo incompleto ciclo di romanzi detto "dei Vinti", gli uomini travolti dalla fiumana del progresso sono dappertutto, e per tutti davvero la terra trema. In questo senso non è del tutto assente la curiosità di confrontare nei dettagli l'opera di Visconti da quella di Verga, I Malavoglia, da cui il film si distanzia soprattutto nel finale. La posizione evidente nel film tradisce la sottile ambiguità che aveva ottenuto Verga con il suo artificio della regressione, e che trasformava la sua voce narrante nel coro di parlanti che, come in questo film, criticano i Valastro e il giovane 'Ntoni, che contrario alla volontà della precedente generazione (incarnata dal nonno), disinteressata a migliorare la propria condizione di asservimento rispetto ai grossisti del pesce, si fa portatore di una piccola rivoluzione che avrebbe la nobile intenzione di rendere indipendenti i vari pescatori e finalmente non dipendere più dai bassi prezzi che stabiliscono i grossisti e pagano i compratori. E Visconti non nasconde la sua posizione a favore di 'Ntoni, quando dice che "chi lo sa? Forse se intervenissero i giovani andrebbe tutto meglio", anche perché per il resto del film, dopo il fallimento di 'Ntoni e di tutta la sua famiglia, il regista non riduce la figura del protagonista a una pecora nera porta guai, ma al portavoce di un orgoglio impossibile che si dimena all'interno di una realtà immobile. Attenderemmo il ritorno di Cola, fratello di 'Ntoni, un po' come il 'Ntoni del romanzo torna, una notte, per rivedere i luoghi della sua vita e poi andarsene senza dir nulla, mentre finalmente la casa del nespolo è stata riscattata, in un finale apparentemente ottimista: ma qui Cola non torna, e il finale è decisamente triste e privo di ambiguità, sulla scia di una posizione preconfezionata che Visconti non fa che trarre da situazioni decisamente reali ma leggermente deformate dalla sua presenza. Verga, in questo senso, trasmetteva maggiori dubbi, lasciava giusto intendere alla mente del lettore la sua posizione assolutamente diversa da quella della voce narrante, ma mai si sarebbe sognato di intervenire, perché le immagini (letterarie) lì parlavano da sole. Qui pure parlerebbero da sole, ma la voce narrante esplica e cerca di mettersi all'altezza dei suoi personaggi per raccontarne le sventure, sulla base di un Fato che prima accontenta i protagonisti e il progetto innovativo di 'Ntoni (con una barca piena di anciove che però andranno presto salate) e che poi distrugge tutto (sia 'Ntoni e la sua famiglia, sia la speranza che Visconti non nasconde di avere), con un mare in tempesta che frastaglia il Mar Ionio nella scena più bella del film, in cui la visione del Mediterraneo è interrotta solo dalle figure ombrose di donne ansione e preoccupate dei loro uomini dispersi. Lanciandosi in squarci visionari pur presenti nel romanzo, Visconti dimostra una posizione più vicina alla constatazione dell'eleganza e del sottile onirismo della Storia, come farà nelle grandi emozioni di Senso e del Gattopardo, e raggiungendo solo vette di intimismo in film successivi, dall'episodio con Romy Schneider di Boccaccio '70 allo splendore romantico di Le notti bianche. Qui non riesce a celare una posizione sociale e politica ben definita, ma ha il coraggio di scegliere attori tutti non professionisti per raccontare una storia comunque dal suo interno, magari costretta da un punto di vista diverso ma sincera oltre ogni dubbio, priva delle prurigini o degli esotismi che caratterizzano i finti realismi contemporanei e 'verissima' nel raccontare le dinamiche sociali di un mondo solo sulla carta scomparso. Forse il Verismo verghiano è più vicino allo sguardo disincantato dei Dardenne, e forse ancora una volta i francesi (anzi, i francofoni) si sono avvicinati, al cinema, all'ideale dell'impersonalità che aveva elaborato Flaubert: noi italiani (e anche De Sica, come Rossellini) siamo sempre riusciti a guardare le nostre storie magari non suscitando emozioni strappalacrime, ma sempre provando un'emozione da evidenziare nei confronti dei protagonisti. E i risultati sono spesso stati affascinanti. Visconti, che si rivelerà un po' lontano dalle mode neorealiste, almeno in seguito, tradisce un suo sguardo più elegante e romantico, e in La terra trema guarda alla stessa altezza uomini alla ricerca di un riscatto e fatalmente traditi dal mondo, anche se con un'urgenza che oggi, con le nuove tendenze cinematografiche, meno si avverte.
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