Regia di Clyde Geronimi, Wilfred Jackson, Hamilton Luske vedi scheda film
Che sia in un certo senso sottovalutato? Alice nel paese delle meraviglie banalizza ed appiattisce il capolavoro letterario di Carrol, annacquando le sue radici sociali ed antropologiche. Il mondo che la spaurita Alice si ritrova a visitare è costellato di personaggi assurdi che a modo loro rappresentano simboli di una società malata e disordinata. Certo, il tono è quelle delle commedie musicali vagamente caciarone nella loro conclamata eleganza, ma se andiamo a scavare c’è, ovviamente, un po’ di latente disperazione. Altrimenti non si spiegherebbe l’allegoria metafisica di caratteri come lo Stregatto (l’inganno beffardo degli sconosciuti sfuggenti), il Cappellaio Matto e il Leprotto Bisestile (la follia allo stato puro, degenerata in una schizofrenia spassosa ed ubriaca – il banchetto per il buon non-compleanno è indimenticabile), il Bianconiglio (l’essere sempre in ritardo ai tempi degli altri), la Regina di Cuori (l’arroganza ignorante del potere) e il suo signore (l’approfittare dello stesso potere), Pingo Pango e Pango Pingo (mai dare retta agli sconosciuti), il Brucaliffo (la discutibile saggezza derivata dal consumo di strane sostanze…) e via dicendo. Un film sospeso tra sogno e realtà, apparentemente allegro e spensierato eppure intimamente metaforico e trascendente, che meriterebbe più di una visione per afferrarne appieno le decisive caratteristiche.
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