Regia di Ermanno Olmi vedi scheda film
Il film di Olmi condivide con "Il compromesso" di Kazan lo stesso spunto narrativo (inteso come la chiave scelta per innescare i prodromi di una crisi). Il rapporto fra le due opere ovviamente si ferma qui, poichè poi procedono per strade magari assimilabili fra loro anche per altre motivazioni contingenti, ma che sviluppano percorsi autonomi (persino come forma della rappresentazione).
Credo percò che sia non solo interessante, ma anche singolare segnalare proprio l'analogia "simbologica" di un corrispondente incidente automobilistico (più casuale quello immaginato da Olmi, molto più "voluto" - quasi autoprovocato - quello di Kazan) quale elemento scatenante che dà origine a un cambiamento così radicale nella propria esistenza.
Nel film di Olmi, è un dirigente pubblicitario che proprio al momento in cui sta per coronare il suo ambizioso sogno di uomo in carriera, ormai arrivato ad avere in mano il tanto agognato successo pieno, rimane vittima di un grave incidente di macchina che metterà seriamente in pericolo la sua vita.
L'auto dunque subisce danni che potranno anche essere riparati (ma che non riuscirà ad essere esattamente quella che era prima) proprio come l'uomo che era al suo volante, che ben più difficilmente sarà in grado di assorbire e di metabolizzare un trauma che lo ha costretto -nolente o volente - a ripensare a tutta la sua esistenza.
Lo psicologo Servadio ci ha reso chiaro con i suoi scrtti, che un incidente automobilistico (così come altri accadimenti similari) che comporta una distrazione del conducente che lo subisce o una temerarietà che lo ha indotto a sottovalutare un rischio, è esso stesso il segno di una nevrosi che da una parte fa la spia a una situazione conflittuale preesistente che non si ha avuto il coraggio (o la convenienza) di affrontare preventivamente, ma dall'atra è anche un qualcosa che nasconde un sotteso, inconscio stimolo autodistruttivo (e questo si avverte molto bene dalla visione del film).
Quello che Omi dunque ha voluto dire con questa sua interessante fatica, è che qualunque uomo in certe situazioni estreme, se trova la forza di analizzare con spietata obiettività critica la sua vita, può ritrovare se stesso, e il positivismo dell'origine (dubito però che adesso dopo tutto ciò che è successo e sta accadendo nel mondo in questi anni , il regista mantenga ancora una posizione propositiva come quella che io leggo dentro a "Un certo giorno"). Il messaggio resta comunque importante (e utile pure per un pessimista quale io sono) anche adesso. In sintesi infatti se nella prima parte ci aveva mostrato i caratteri crudeli dell'industria pubblicitaria e le sue capacitàdisumanizzanti, ci dice poi (nella seconda parte) che la salvezza, di fronte alle caratteristiche deformanti della civiltà che ci strumentalizza, se vogliamo comunque "liberarci" è in ogni caso a portata di mano per chiunque, e che questa libertà non consiste nell'andare a Tahiti, nel rileggere Pasolini o qualche scrittore illuminista, nè tantomeno nel ritirarsi quietamente in pensione, ma al contrario si ottiene nell'impegnarsi più a fondo, nel tuffarsi nella realtà, e soprattutto compiendo (partendo proprio dalle piccole cose) ognuno la propria rivoluzione quotidiana, evitando di delegarla (che tanto non ci darebbero ascolto) ai massimi sistemi.
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