Regia di Ermanno Olmi vedi scheda film
Un certo giorno il capo di un'importante agenzia pubblicitaria del nord Italia può essere colpito da un infarto, per cui viene chiamato a prenderne il posto un brav'uomo non più giovanissimo, che si è fatto da sé (con la pubblicità ha cominciato dopo la guerra, attaccando manifesti) e che ha un'esistenza borghese del tutto normale, con la moglie di una vita e la figlia che va a scuola. Naturalmente a quest'uomo cambia la vita; diventa lui il capo e, mentre il vecchio presidente medita di ritirarsi definitivamente a vita privata, egli assapora un certo potere: comanda, dispone dei benefit connessi al suo ruolo (compresa la segretaria privata) e inizia pure una relazione extraconiugale con una dattilografa molto più giovane e abbastanza priva di scrupoli morali.
Un certo giorno è anche quello in cui, inaspettatamente, può capitare una tragedia, sotto forma di un assurdo incidente stradale nel quale, come si suol dire, ci scappa il morto. È l'evento che fa scattare la riflessione di quest'uomo, che si domanda verso dove stia correndo. È l'infarto (figurato) che segna la sua vita e lo costringe ad una lunga riabilitazione morale, segnata dalle indagini dei carabinieri sull'incidente e dal conseguente processo.
Ma un certo giorno, anzi, un giorno certo (a volte invertendo l'ordine dei fattori il risultato cambia eccome) è quello della morte, evento cui il film, soprattutto nel suo tono, non manca di rimandare in maniera subliminale (tecnica tipica del mondo pubblicitario). La morte è sempre in agguato e si può affacciare in qualsiasi momento, magari facendo capolino dal ciglio di una strada, preannunciata soltanto da un colpetto, come una sassata, sulla lamiera dell'automobile. Essa può essere minimizzata nell'aula di un tribunale, anche grazie a qualche piccola bugia dei testimoni e ad un avvocato untuoso - che fa passare la vittima per un alcolizzato e un marito tutt'altro che irreprensibile - ma, alla fine, lascia la sua impressione, nera come il vestito della vedova e degli orfani, anche sul protagonista.
Il tono generale del film è pessimistico, come dimostra questo sguardo impietoso sul funzionamento della macchina della giustizia e sulla famiglia come estremo, ma freddo, luogo di rifugio.
Il mondo dei manager d'azienda, sviluppatosi sulle ceneri del boom economico, non è più felice dell'ambiente operaio o impiegatizio, descritto da Olmi in altri film (Il posto, I fidanzati), mentre la collocazione urbana ed aziendale - gli uffici da manager, così vuoti di tutto, sembrano celle conventuali - hanno l'andamento e i colori di un incubo, la cui unica via d'uscita sembra essere il casale nella campagna toscana. Quella campagna verso la quale lo stesso Olmi, con alcuni suoi film (Il tempo si è fermato e I recuperanti per la montagna, L'albero degli zoccoli per la campagna lombarda, Cammina Cammina per quella toscana, appunto), sente periodicamente il bisogno di evadere.
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