Espandi menu
cerca
Vive l'amour

Regia di Tsai Ming-liang vedi scheda film

Recensioni

L'autore

Peppe Comune

Peppe Comune

Iscritto dal 25 settembre 2009 Vai al suo profilo
  • Seguaci 174
  • Post 42
  • Recensioni 1522
  • Playlist 55
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Vive l'amour

di Peppe Comune
8 stelle

Anni 90 a Taipei. Tre persone intrecciano per un certo periodo le loro vite. Lin Mei-mei (Yang Kuei-mei) è un agente immobiliare e in uno degli appartamenti che deve vendere porta An-Jung (Chen Chao-jung), un venditore abusivo che vive smerciando abiti femminili. I due si vedono più volte per fare sesso senza neanche preoccuparsi di approfondire le rispettive conoscenze. In questo appartamento vuoto riesce ad intrufolarsi Hsiao-kang (Lee Kang-sheng), un giovane senza fissa dimora che vende urne cinerarie e che cerca il modo migliore per suicidarsi. Poi succede che anche An-jung si mette ad occupare l'appartamento vuoto all'insaputa di Min Mei-mei. Così si conoscono i due uomini, che hanno modo di mettere a confronto le rispettive solitudini. 

 

IL BUIO IN SALA: Recensione: "Vive l'Amour" - Scritti da voi - 95 - di  Claudio Rugiero

"Vive l'amour" - Scena

 

“Vive l’amour” (premiato con il Leone d’oro a Venezia) non è stato il primo film di Tsai Ming-liang ma è quello che lo ha fatto conoscere a livello internazionale. Da allora, quindi, il panorama cinefilo ha iniziato a confrontarsi con una cifra stilistica che assomma rigore etico dello sguardo è un'evidente padronanza della grammatica cinematografica, ingredienti questi messi a servizio di una rappresentazione del mondo alle prese con una latente disfacimento valoriale. Il suo è un cinema dove è la regia a dare vigore alla storia, che messa nella condizione di dover fornire delle fattezze plausibili all'implacabile presenza del vuoto esistenziale, è nel modo accurato con cui l'autore taiwanese organizza i tempi narrativi e la spazialità delle inquadrature che trova di default le sue più idonee coordinate comunicative.

Con ogni film di Ming-liang si può dire “la trama probabilmente”, soprattutto a partire da “Vive l'amour” : perché l'intreccio narrativo che avvolge e coinvolge i tre protagonisti non si configura come un rapporto di relazione nato da una fattiva adesione emotiva ma in ragione di una collaudata inerzia delle coscienze ; perché il senso della storia e in quello che ci raccontano l’immobilismo dei corpi e non in quello che ci dicono le parole ; perché l’afflato comunicativo del film trova le sue soluzioni visive nella scarna fissità dei piani di ripresa e non nelle pretese descrittive di immagini in movimento. 

Il sentimento dell'amore evocato dal titolo suona anche un po’ sarcastico dato che contrasta apertamente con i contenuti narrativi, improntati al massimo grado di laconicità e orientati da comportamenti visibilmente anaffettivi. Si fa il pieno di vuoto perché è soprattutto nei silenzi e nelle assenze che traspare tutto il potenziale evocativo della narrazione. 

Un appartamento vuoto fa da collante a tre vite che sembrano praticare la solitudine come se si trattasse dell'unica cosa che gli resti da fare, tre persone diverse a diverso modo alle prese con l'incipiente liquidità delle relazioni umane. Lin Mei-mei sembra essere in groppa al suo destino, una donna potenzialmente in carriera, bella e sofisticata. Ma in realtà è sola, e dimostra di essersi persa in una qualsiasi delle strade che ancora deve decidersi a prendere. An-jung vive perlopiù di espedienti e sembra avere un rapporto abbastanza pacificato col destino che gli è capitato in sorte. Ma in realtà questo trova la sua massima realizzazione solo in fugaci appagamenti sessuali. Hsiao-kang non riesce neanche a trovare il modo più idoneo per farla finita. È un uomo che dà l'impressione di avere una gran voglia di raccontarsi, ma non sa con chi parlare e come farlo. 

Come succede spesso con Tsai Ming-liang, a fare da sfondo discreto è Taipei, che suo malgrado diventa teatro a cielo aperto di voci che non comunicano e di corpi che sembrano muoversi come degli automi. Taipei diventa uno spazio psichico che concede quel minimo di coordinate fisiche a esistenze chiaramente disorientate. Si filmano accenni di trasporto emotivo, scarti sentimentali, corpi che si muovono meccanicamente e che altrettanto meccanicamente cercano nel sesso l'agognato appagamento dei sensi. Si filma soprattutto il silenzio, quello che scaturisce dal mutismo delle parole è quello che deriva dal pieno di dolore. E tutto questo fa la concreta rappresentazione del vuoto, che in mano al maestro taiwanese non si lega tanto alla semplice determinazione del male di vivere ma si configura come un tratto speculativo che si adagia impercettibilmente allo scorrere sistemico della storia. Ecco, è la filmabilità di tutto questo a fare di Tsai Ming-liang un autore di primo piano nella scena del cinema contemporaneo, con uno stile distintivo e riconoscibile. Unico. 

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati