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Prima linea

Regia di Robert Aldrich vedi scheda film

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La recensione su Prima linea

di (spopola) 1726792
8 stelle

Prima linea è un film di guerra, o meglio un film “sulla guerra” o ancora più esattamente, un film “contro la guerra”.

Era il 1956 quando, già abbastanza affermato come regista ma non ancora un nome davvero di “punta” della cinematografia americana (la sua fama, il riconoscimento del “valore”, gli arrivava soprattutto dall’Europa) Aldrich, partendo da una sceneggiatura tratta da un testo teatrale di Norman A. Brooks, Fragile Fox, riuscì a realizzare con la collaborazione produttiva della United Artists, questa pellicola e a farne un film davvero durissimo, e abbastanza insolito per la produzione americana di quel periodo.

Per più della metà, l’andamento dell’opera sembra ricercare (e ricalcare) puntigliosamente tutti i luoghi comuni del genere, per poi però distaccarsene clamorosamente, mirando a una  più diretta e inusuale presa di posizione di carattere soprattutto morale e sociale, che finisce per collocarla nella ristretta cerchia dei migliori e più “veritieri” film bellici di sempre (straordinarie le scene di guerra, girate con una furia e una violenza realisticamente brutale, nonostante il rifiuto dell’esercito americano, che aveva probabilmente subodorato l’antimilitarismo già chiaramente evidente dalla commedia che ne sarebbe potuto emergere, di fornirgli una diretta, necessaria collaborazione per i movimenti delle masse e delle battaglie).

L’argomento bellico, via via analizzato sfrondandolo da tutte le esigenze (e le pastoie) propagandistiche che avevano caratterizzato molto cinema degli anni ’40, si unisce dunque a una considerazione anche esistenziale più profondamente drammatica, che rappresenta poi proprio l’aspetto emergente e maggiormente interessante del lavoro, e si estrinseca in uno scontro di caratteri tra chi ha coraggio e ottiene ciò che vuole, e chi, al contrario posto in situazioni di comando e di responsabilità, non sa tenere testa agli avvenimenti e si smarrisce nel panico arrivando così ad abnormi aberrazioni che determinano tragiche conseguenze. L’elemento prioritario di tutta la narrazione di questa contrapposizione che è anche “ideologica” e di “coscienza critica”, domina prepotentemente tutta l’azione, ed è accompagnato da quello più sottilmente evocato, ma non meno intensamente esposto, del sentimento di “paura” che serpeggia sotterraneo e sembra accomunare sotto molti aspetti, tutti i protagonisti della storia, anche se poi è proprio il loro diverso modo di fronteggiarla e di agire, che segna, oltre la vita stessa, la differenza (anche di natura etica) dei loro destini.

Si può dire dunque che ci troviamo di fronte a un titolo che ha fatto davvero epoca. Anche in questo caso, però una analisi a posteriori ce lo fa apparire adesso un pò meno pacifista di quanto la sua fama tramandi nel ricordo, e le ragioni non vanno certamente ricercate in una maggiore consapevolezza critica ormai ampiamente acquisita, derivante dal differente posizionamento meno idealista e più concreto verso la guerra e il suo significato, ma semmai dal confronto col quasi contemporaneo  capolavoro di Kubrick, Orizzonti di gloria (1957) con il quale ha davvero molti punti di contatto. Il film di Aldrich, come si è visto, parte magnificamente, anche se i suoi personaggi risultano da subito più schematizzati e meno emblematicamente universalizzabili che in Kubrick e alla fine, abbassando il personaggio di colui che ha la responsabilità del massacro, al caso patologico (perché anche qui alla fine è proprio di un irragionevole e inutile massacro che si parla, una insensata operazione bellica che costerà la vita per l’irresponsabilità di un inetto, a moltissimi dei migliori uomini della sua compagnia), anche il giudizio finale diventa meno aspro e inappellabile, poiché spostandolo sul piano clinico, ne giustifica in un certo senso l’irresponsabilità e la fa diventare quasi una deriva privata.

A parte questo comunque, il film regge magnificamente all’usura del tempo, grazie anche all’appassionata fotografia di Joseph Biroc e al serrato montaggio di Michael Luciano, abituali collaboratori creativi di Aldrich insieme a Frank de Vol (autore del pertinente commento musicale).

Gli attori, sono “drammaticamente” impegnati a rendere le contrastanti figure dei personaggi loro affidati, con in primo piano il veemente Capitano Costa di Jack Palance, la viscida codardia prepotente nella sua negatività programmatica di Eddie Albert (il capitano Cooney) e la determinata coerenza più accomodante e rispettosa delle regole di un sanguigno Lee Marvin (Colonnello Bartlett).

Sulla trama

Siamo nel 1944 sul fronte Francese. Gli alleati devono resistere ai colpi di coda dell’esercito tedesco costretto a ripiegare verso le proprie retrovie. Cooney, comandante di una compagnia di marines impegnata in tali operazioni di contrasto, è un inetto che i potenti appoggi politici sostengono contro l’evidenza stessa dei fatti, costringendo così il suo superiore  Barlett a non destituirlo, nonostante l’evidenza della sua incapacità oggettiva.
In occasione di un attacco pericoloso, sarà proprio l’i di questo irresponsabilità di questo individuo  a mandare al macello il plotone del tenente Costa  e a sicura morte i migliori uomini di quell’unità.
Isolati dai compagni, i superstiti del piccolo gruppo sono costretti a rompere l’accerchiamento tedesco. Costa, pur ferito gravemente riesce a salvarsi, ma conoscendo le cause dell’eccidio, giura di vendicarsi del suo superiore.
Vorrebbe portare a compimento il suo giuramento quando se lo ritrova faccia a faccia nascosto in una cantina insieme ad altri soldati in rotta, ma muore per le ferite riportate prima di poter compiere il gesto. Il suo posto verrà così preso  dal tenente Woodruff che, esasperato, uccide Cooney quando questi minaccia  con la pistola i suoi uomini.
Durante il contrattacco, i superstiti vengono liberati dai marines del colonnello Bartlett che, comprendendo al situazione, decide di non deferire Woodruff, ma non riesce però a convincerlo a tacere sulla verità dei fatti e a firmare una dichiarazione in cui si afferma che Cooney è morto con onore. Sarà dunque lo stesso Woodruff a divulgare la verità anche se l’episodio verrà poi archiviato attribuendo a Cooney l’attenuante della “deviazione mentale”.
 

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