Regia di Nanni Loy vedi scheda film
Anche se a una prima impressione il film di Nanni Loy può sembrare d'impianto realistico, è la musa del grottesco che vi mena le danze. Si tratta soprattutto, infatti, di una metafora su un'Italia meridionale stracciona, patetica, arrangiona con appena qualche speranza di evolversi (come può indicare il personaggio interpretato da Leo Gullotta) quanto meno al livello dell'Italia settentrionale.
È un'Italia, questa, non ancora da bere, che sembra avere bisogno di essere presa per mano da qualche leader che la conduca verso un sogno di modernità, illusione che sapranno offrire, in sequenza, prima Craxi e poi Berlusconi.
Nino Manfredi è mattatore in questo film peraltro pieno di buoni interpreti e caratteristi (Caprioli, Mezzogiorno, Gigi Reder, Lina Sastri) di ottima scuola, soprattutto napoletana.
Dicevo che la vicenda si svolge in un'Italia stracciona (in particolare su quello che, secondo Guccini, ma cent'anni prima, sembrava un mito di progresso, cioè il treno), come dimostrano quei ferrovieri, costretti a viaggiare di notte attraverso stazioni la cui illuminazione sembra risalire agli anni del fascismo (con una burocrazia di tipo austroungarico che rimanda ai romanzi di Kafka e Hrabal), eppure ancora dotata di grande umanità, cosa che non si può sempre dire del nostro paese di oggi.
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