Regia di Nanni Loy vedi scheda film
Sull'espresso notturno che collega Vallo Della Lucania a Napoli, il partenopeo Michele Abbagnano è una presenza fissa. Invalido e di mezza età, l'uomo percorre i vagoni cercando di vendere il suo caffè, al fine di mantenere il figlio adolescente in collegio. Michele, godendo della simpatia dei passeggeri, riesce, durante ogni viaggio, a racimolare qualche soldo. Tutto rischia di finire durante una notte fredda e ventosa; scopre di essere oggetto di caccia serrata da parte delle autorità ferroviarie e, contestualmente, dell'attenzione indesiderata di una piccola banda di "topi di treno". Nanni Loy dirige Nino Manfredi in un film il quale dà uno spaccato della varietà umana viaggiante a bordo di un treno che attraversa di notte il Sud Italia. Michele passa di scompartimento in scompartimento offrendo il proprio prodotto, caffè conservato in alcuni thermos; non pratica un prezzo fisso e non si limita alla vendita. Con passeggeri che conosce da tempo ha rapporti di amicizia, complicità, mutuo soccorso; molti di essi, come lui, non hanno vita facile e cercando di tirare avanti come possono, anche con attività illecite, le quali non danneggianno, tuttavia, direttamente altre persone. Cosa che vorrebbero fare Carmelo Improta ed i suoi compagni di malefatte, i quali tentano di arruolare nelle loro banda Michele, per coinvolgerlo in attività di borseggi e furtarelli, ed arrivano, di fronte ai rifiuti del protagonista, a ricattarlo. Michele non cede; egli sa quando è il momento di fermarsi. I sotterfugi, le bugie, le notti di veglia e la costante contesa con le autorità ferroviarie hanno come finalità precipua il benessere (o, meglio, la sopravvivenza) del figlio quattordicenne, privo di qualunque altro mezzo di sostentamento. L'uomo è consapevole che non può, ne' vuole, oltrepassare il limite. Non può, perchè ha scelto di poter dare, per quanto possibile, un buon esempio al figlio - il quale, nel racconto, è salito a bordo del convoglio contro la volontà del genitore - e perchè, in caso di un suo arresto, non avrebbe modo di assistere il ragazzo. Non vuole, perchè è una persona corretta e degna. Non sono sufficienti l'esercizio dell'attività di vendita non autorizzato, le multe non pagate ed il viaggiare senza biglietto, a dare una connotazione negativa a Michele. Ne sono, di certo, consapevoli anche gli ispettori ferroviari che gli danno la caccia ed infine riescono a catturarlo. Nessuno vuole assumersi la responsabilità giuridica - e, di conseguenza, anche morale - di procedere nei confronti di un genitore in difficoltà; la mancata cattura dell'abusivo rimarrà una delle tante "defaillance" di una macchina amministrativa appartenente ad una nazione che spesso si dimentica dei suoi "ultimi" e li lascia soli. Molto bravo è Nino Manfredi nei poveri panni del venditore di caffè; vestito con una giacca a quadrettoni, il capo coperto da un basco, il protagonista s'adatta ad ogni interlocutore nella maniera più appropriata; sa essere ora umile, ora arguto; ora tenace, ora furbo. Se necessario, determinato; mai subdolo, inutilmente aggressivo o sottomesso, poichè è intimamente convinto della bontà del proprio fine. Fanno parte del cast Gigi Reder - un barelliere, il quale, in virtù della frequentazione di ospedali, acquisisce agli occhi di Michele particolari carisma ed utilità - Leo Gullotta - un uomo escluso dal mondo del lavoro a causa di un evidente difetto di vista - Lina Sastri - la sveglia Suor Camilla - Adolfo Celi - ispettore capo dell'amministrazione ferroviaria, in grado di fare una sorta di giustizia ... non applicando la legge - Vittorio Caprioli - Carmelo Improta, capo dell'insidiosa gang di borsaioli - Vittorio Mezzogiorno - suo membro più violento - e tanti altri. "Cafè Express" è un toccante racconto corale, i cui protagonisti sono gli "eroi del quotidiano", quelli che ogni giorno - ed ogni notte - s'arrabbattano per tirare avanti al meglio delle loro ridotte possibilità. "Fischia il vento, urla la bufera", ripete spesso Michele, nel raccontare le sue storie. Le avverse condizioni atmosferiche sono metafora di esistenza precaria; il poterne parlare al passato attesta che ad esse si può sopravvivere, nonostante tutto.
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