Regia di Yuri Mamin vedi scheda film
La nuova Russia, uscita dalla caduta della vecchia Unione Sovietica, a confronto con la società occidentale, rappresentata da una Parigi anni ’90, raggiungibile da una porta magica dalla quale si transita da San Pietroburgo alla capitale francese. I russi, inizialmente stupiti di tanto benessere capitalistico, si adattano ben presto a viverci, cercando di trarne profitto, prima vendendo cimeli e poi vendendo le loro capacità di artisti e gente di spettacolo in genere. Qualcuno avrà la tentazione di restare a Parigi, ma la morale sarà quella di tornare a casa per lavorare per un futuro migliore della comune patria. L’impressione è che in “Insalata russa”, al di là dell’ovvia messinscena della reazione di un gruppo di personaggi eterogenei in una realtà che non comprendono, né nella lingua né nelle abitudini, ci sia la volontà di presentare all’Occidente i Russi come fratelli orientali che, nei secoli, hanno svolto la loro funzione di baluardi della cristianità nei confronti dei barbari asiatici (uno dei personaggi afferma: “mentre noi facevamo da scudo verso i Tartari e i Mongoli, loro si sono arricchiti”). Oggi sono arrivati anche loro, più confusi di prima, “quando c’era lui”, il comunismo, ma decisi a prendersi la loro parte. Cominciando, naturalmente dalla Russia, e non limitandosi a cambiare il nome alle città. Mamin racconta questo sentimento post gorbacioviano (qui da noi credo che non si sia ancora ben capito se Eltsin sia stato un benemerito della patria o un dittatore) con l’ormai consueta, da Kusturica in avanti, mistura di straccioneria e allegria del cinema dell’ Est europeo, ma con qualche luogo comune di troppo.
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