Regia di Jeffrey G. Hunt vedi scheda film
Suggestivo e a tratti polemico nei confronti di irragionevoli atteggiamenti adolescenziali, Satanic è un low budget che ha qualcosa da dire, e va al di là del semplice intrattenimento.
Los Angeles, stanza 204 del Flower Hotel: nel 1972 Laney Gore, seguace della Chiesa satanica di Anton LaVey, si toglie la vita.
Colline di Bel Air, Residence 1641: indirizzo della villa nella quale, sotto l'influenza di Charles Manson, il 9 agosto del 1969 cinque persone trovano la morte, tra queste anche Sharon Tate, moglie del regista Polanski.
Cahuenga, Black Door Shop: controverso negozio con artefatti destinati a cultori del macabro.
Una Planchette (variante della tavoletta Ouija) utilizzata per evocare, nella stanza 204, quella del suicidio, lo spettro di Laney Gore.
Posti, eventi, elementi che hanno, come comune denominatore, due coppie di ragazzi composte da Chloe (Sarah Hyland), Seth (Justin Chon), David (Steven Krueger) ed Elise (Clara Mamet). Ragazzi morbosamente attratti dal "turismo satanico" che, senza troppo prendere sul serio la questione, dopo un battibecco all'interno del Black Door Shop decidono di seguire l'allucinante titolare del negozio fino a violare (di notte) una proprietà privata ed imbattersi in un poco chiaro rito nel quale sembra essere destinata a sacrificio la giovane Alice (Sophie Dalah).
"L'Inferno non è un posto, è una bellissima confusione... e c'è molto dolore." (Alice/Sophie Dalah)
Le prime immagini di Satanic ci offrono sequenze di rituali magici celebrati da LaVey nonché spezzoni di cinema fantastico opera di Georges Méliès: un insolito accostamento tra satanismo e cinema, suggellato -in sovrimpressione- da un celebre detto: "A parlare del Diavolo... spuntano le corna". E questo stesso preambolo racchiude il senso ultimo del film, che facendo leva su pulsioni adolescenziali inevitabili, mette sotto accusa atteggiamenti inaccettabili, intollerabili e deplorevoli tipo i selfies inopportuni a Cielo Drive o il brindisi nella camera del suicidio di Laney Gore. Come a dire che, a furia di evocare la Morte, questa arriva e accetta l'invito.
Prodotto destinato alla diffusione via pay tv (Netflix) e diretto da un prolifico regista di serial (qui al suo unico lungometraggio), Satanic è stato un po' ovunque bistrattato e liquidato come confuso e limitato horror per teen-agers. Possiamo, senz'altro, condividere che il target è quello ma in difesa del film occorre spendere due parole. L'idea di lasciare fuori dallo schermo la violenza e -in generale- l'assenza di effetti speciali, pur se da attribuire in parte al budget, sortisce il raro effetto di "inquietare" maggiormente durante la visione, dando spazio a quel tipo di turbamento provocato dalla suggestione, già trattato in passato -con l'escamotage di ben amalgamare luci, ombre e sussurri- nel grande cinema di Val Lewton e Tourneur (inarrivabili, ad esempio, Il bacio della pantera e La notte del Demonio).
Alla non puerile traccia critica su taluni atteggiamenti superficiali tipici di animi giovanili irrequieti (ad esempio l'uso sconsiderato della Planchette) si aggiunge una storia che sa creare il clima di mistero, per poi affondare nell'irrazionale con fenomeni -suggeriti- di Poltergeist solo nella parte finale, dando per certo così che a scommettere la testa con il Diavolo... si perde sempre. La mancanza di scene ad effetto, viene compensata dalla fantasia dello spettatore, una volta tanto stimolata ad essere partecipe nel racconto. La regia sa sfruttare ogni elemento delle scenografie e anima lo svolgersi degli eventi con vertiginose scene aere sugli illuminati grattacieli californiani. È senz'altro da menzionare la parte conclusiva -con inatteso momento di distorsione del fattore temporale- ambientata in un edificio ch'è evidente anticamera dell'Inferno. Questo Satanic (da non confondere con un brutto omonimo realizzato nel 2006) non è quindi un capolavoro, ma nemmeno merita di essere catalogato tra i peggiori titoli degli ultimi anni.
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