Regia di Claudio Amendola vedi scheda film
26 Noir in Festival (Como/Milano).
Quasi quattro anni dopo l’esordio da regista con l’arrembante, anche se un po’ acerbo, La mossa del pinguino, Claudio Amendola ci riprova, ricercando la piena maturità artistica.
Da un soggetto di Giancarlo De Cataldo, che si occupa anche dello script insieme allo stesso Claudio Amendola e Roberto Jannone, nasce una storia strutturata su quattro canali, che si cementifica nel noir descrivendo situazioni sociali anche molto distanti, per età, classe di appartenenza e motivazioni portanti.
Nello stesso giorno, quattro detenuti usufruiscono di un permesso di 48 ore: Donato (Luca Argentero) cerca quella che una volta era la sua donna sapendola vittima di un brutto giro, Luigi (Claudio Amendola) torna dalla sua famiglia e trova il figlio implicato in affari pericolosi che ben conosce, Angelo (Giacomo Ferrara) vuole solo riassaporare qualche ora di libertà avendo un’idea chiara su cosa farà una volta scontata la pena, mentre Rossana (Valentina Bellè) non ha alcuna intenzione di tornare in carcere.
Per loro, sono 48 ore necessarie a riprendere contatto con il mondo fuori, affrontare problemi non rimandabili e determinare, una volta per tutte, il proprio futuro, così come quello delle persone a loro strettamente legate.
Quattro personaggi, un punto di partenza comune, il permesso del titolo, e traiettorie dagli esiti differenti, con l’amore come costante indelebile, declinata anche nell’affetto dell’amicizia e nella famiglia.
Un momentaneo ritorno nella civiltà che segue percorsi differenti, correlati al passato che non si cancella, al presente stringente, con un futuro spesso arduo da pensare, spazi temporali che non prevedono vie d’uscita comode.
Quattro linee guida che, almeno all’inizio, trovano uno sviluppo attento, con la galera che cambia il paesaggio interiore di chi la sta vivendo, ma intanto le persone libere non aspettano, seguono la loro strada, a volte ripercorrendo gli errori di sempre, altre volte peggiorando, in linea con i nostri tempi deteriorati. Con il passare dei minuti, diventa però sempre più difficile mantenere una narrazione equilibrata, per via di fattori dal lignaggio disomogeneo; il montaggio diventa più difficoltoso e il respiro della messa in scena accusa dei rallentamenti, così che, invece di accrescersi, il processo evolutivo diviene più incerto, fino ad approdare a una conclusione multipla che vuole diversificare le soluzioni, fornendo diverse chiavi di lettura.
Soprattutto nella risoluzione, ma non limitato esclusivamente a questa fase, alcune sottolineature, anche musicali, sono troppo accentuate, in alcuni casi mancando proprio di ragionevolezza e misura - quanto succede a Donato, ma non solo a lui, è l’emblema di tutto quanto appena esposto – chiudendo comunque in maniera forte e trasversale, lasciando alcuni dubbi sia nelle positività, sia nelle negatività (ad eccezione di Luigi, per cui Claudio Amendola ritaglia il meglio).
Sono comunque in gioco personaggi quadrati che non passano inosservati e nel cast si registrano alcune note positive; dopo Suburra, il regista ritrova il promettente Giacomo Ferrara, finalmente un giovane attore italiano che si staglia dalla massa di colleghi, Valentina Bellè riesce a essere indomita, disinibita e corrucciata, una creatura estranea all’ordine imperante, Luca Argentero è fisicamente tirato a lucido e spiritato nell’anima (se poi va fin troppo oltre, non è propriamente colpa sua), infine Claudio Amendola cesella una figura ferma dalla memoria lunga, che si spende per il bene ultimo senza mai andare fuori fase (a parte nella scena centrale con il figlio).
Alla fine, l’equilibrio era complicato da sorreggere, il coraggio e le intenzioni sono apprezzabili, il film stesso ha alcuni passaggi notevoli, ad esempio il finale legato a Luigi, ma le approssimazioni vengono pagate con gli interessi; quando le scelte sono molteplici, in effetti il carnet è sostanzioso, è più facile far trapelare una parziale insoddisfazione legata al recepimento personale. In questo caso, gli esiti sembrano quanto mai alterni, tra tante opportunità (quasi sempre è pensabile un’opzione B), deadline non raggirabili se non con il pensiero, una speranza che non può mancare e un sacrificio che accomuna tutti, seppur in forme differenti.
Un film pieno e diretto nel ventre delle personalità che propone, ma formalmente attaccabile in più parti.
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