Regia di Travis Zariwny vedi scheda film
I film horror solitamente necessitano di mente aperta e sospensione di credibilità/realtà che di fronte a un prodotto ben realizzato dal quale consegue buona empatia dello spettatore, diventano caratteristiche prescindibili. Non è il caso di THE MIDNIGHT MAN, diretto dal Travis Zariwny (quello del reboot di Cabin Fever), che sfrutta una vecchia storiella statunitense, quella dell'uomo di mezzanotte, per imbastire un horror che pur avvalendosi di due mostri "sacri" del cinema horror come ROBERT ENGLUND (il mitico Freddy Krueger anni '80) e LIN SHAYE (salita alla ribalta con la serie di INSIDIOUS e con OUIJA) finisce per non convincere MAI, per quanto ci si possa sforzare.
La trama ricorda una versione horror di Jumanji (che per una strana coincidenza è uscito contemporaneamente nelle sale) con candele e una serie di regole da seguire per evocare l'uomo di mezzanotte, col quale poi iniziare un tetro gioco di sopravvivenza che prevede regole da rispettare con rigore, pena la morte (la quarta regola NON ADDORMENTARTI MAI, visto che il gioco dura poco più di tre ore, rivela già una certa superficialità). In ogni sua parte il film risulta rivedibile, dalla prima all'ultimissima scena, col montaggio che dimentica (volutamente?) di chiarire alcune situazioni che affiorano "stroboscopicamente" nei numerosi flashback. Ci si trova così ad assistere piuttosto insensibilmente ad eventi che scorrono piuttosto slegati e incomprensibili come morti violente, piogge di sangue, suicidi, animali sgozzati, senza un vero legame emotivo (nessuna spiegazione, ad esempio, per la morte di un coniglietto domestico). L'uomo nero di turno, svelato in maniera schietta e precoce (per la cui espressività viene rispolverata la distorsione vocale di Jigsaw) pare inizialmente un "burattinaio" sadico alla "vorreiesserKrueger" ma diviene inefficace e poco credibile via via che ogni dettaglio delle sue sembianze viene focalizzato. Il tutto viene "condito" da dialoghi poco curati della serie "buona la prima che si risparmia tempo" (vale per scrittura e recitazione) che i protagonisti cercano di rendere attuali e fluidi (impresa più impossibile che ardua). Nella "scialba zuppa" galleggiano a fatica anche Englund e la Shaye, il primo a causa di una teatralità che nulla ha a che vedere con il cinema (un esempio ne è la sua apparizione a sangue freddo sul divano nel bel mezzo del dramma) e la seconda a causa della davvero insensata ambiguità del suo personaggio.
I due ragazzi giovani (GABRIELLE HAUGH e GRAYSON GABRIEL), palesemente incapaci di barcamenarsi con una sceneggiatura simile a un colapasta che fa acqua da tutte le parti, anzi a fessure talmente larghe da non poter trattener nemmeno la pasta, in questa minestra ci annegano goffamente, inscenando atteggiamenti e reazioni totalmente fuori dalla realtà (merita menzione anche la pettinatura anni novanta di Gabriel.
Un film che aspettavo come la punta di diamante horror della Adler Entertainment ma che cercherò di dimenticare più in fretta possibile. Sono uscito dal cinema delusissimo. Prodotto dozzinale che nonostante tutto, facendo leva sugli appassionati del genere, al botteghino farà la sua parte.
Io ci sono cascato con tutte le scarpe.
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