Regia di Taylor Sheridan vedi scheda film
Non inizio spesso a parlare di un film dalla fine ma come ignorare, a giochi fatti, a vendetta consumata, l'incubo di un popolo e delle sue donne. Dice la didascalia, poco prima dei titoli di coda, che ogni gruppo etnico americano ha una propria statistica, un proprio elenco di persone scomparse. Le donne dei nativi ne sono prive. A nessuno interessa? Mia moglie, seduta accanto a me, ricoperta di libri e concentrata sulle verifiche da correggere, sbatte in malo modo il coperchio del portatile sulla tastiera imprecando contro gli Stati Uniti e l'ignoranza che ogni insegnante vorrebbe debellare. Occupata dal lavoro non ha seguito il giallo di Taylor Sheridan, promettente autore americano passato dalla scrittura alla regia, ma quelle poche righe impresse sullo schermo attraggono la sua attenzione. Il gesto di stizza è doveroso mentre l'esclamazione che le esce dalla bocca non si riporta per decenza. Rimango altrettanto basito da quella notizia che fa il paio con quanto già dichiarato ad inizio film: Sheridan si è ispirato a fatti di cronaca. Ha inventato poco e la cosa non mi stupisce. Gli Stati Uniti, il paese dei "padri pellegrini", ha rinchiuso i figli delle praterie in spazi angusti celandoli alla propria traballante coscienza che rivendica il bisogno di nascondersi dietro il dito di un nazionalismo ipocrita. Occhio non vede, cuore non duole. La riserva lakota di Wind River è la parte di una colpa più vasta di cui non andare fieri: l'estinzione dei popoli del continente. Quel poco che resta del passato combatte in un territorio aspro, ostile e scevro di benedizioni in cui si fatica a scorgere le antiche tradizioni e un futuro di speranza.
All'interno della comunità del Wyoming si consuma un crimine e solo la perseveranza dell'agente forestale Cory Lambert e l'impegno della novellina Jane Banner, agente F.B.I. scaraventata simbolicamente dal deserto ai ghiacci delle Montagne Rocciose, permette di arrivare laddove le istituzioni indietreggiano. Pochi poliziotti, a controllare una riserva troppo ampia, ed un solo federale, una donna e per di più senza esperienza del territorio, sono il biglietto da visita di una federazione che non guarda con benevolenza a quanto succede tra gli ingombranti nativi. Sheridan ha il talento della scrittura e "Wind River" conferma le abilità esibite in "Sicario". Se c'è una piaga dove rigirare il dito Sheridan non ha esitazioni a farlo. Nel film di Villeneuve il protagonista è il confine turbolento tra Stati Uniti e Messico, il deserto arido e diabolicamente immobile che si prende i migranti che fuggono dalle pallottole di Juarez. In Wind River cambiano i colori ma non la sostanza. La neve e le tormente si prendono gli spazi assolati del Texas creando un deserto altrettanto arcigno e vendicativo nello stato del celebre Yellowstone. Il deserto degli uomini è il deserto delle istituzioni che annaspano dietro alla criminalità e dietro alle diseguaglianze socio-economiche senza dare l'impressione di voler combattere la battaglia ad armi pari.
C'è un ulteriore somiglianza tra le due sceneggiature nel rivendicare un ruolo attivo per il genere femminile. Emily Blunt in "Sicario" ed Elizabeth Olsen in "Wind River" sono poliziotte e donne che crescono in fretta e nonostante la realtà brutale non si piegano alla moralità maschile della violenza e della vendetta mantenendo il candore, che il paesaggio bianco sublima, necessario a credere in una via d'uscita diversa dalla giustizia privata e dal tornaconto economico. Le donne di Sheridan sono vittime e riparatrici e quando lasciano il campo lo fanno con tutta la consapevolezza del loro ruolo creativo. Gli uomini obbediscono, invece, alla legge della giungla brandendo armi impugnabili con estrema leggerezza ed esibendo i muscoli di una comunicazione che non ammette negoziati e conciliazioni.
Segnato dalla solitudine del paesaggio innevato il film si abbandona all'introspezione psicologica, a questioni irrisolte come la vita, a silenzi colmi di tristezza e rassegnazione, all'esaltazione di regole naturali ben più oneste di quelle umane. I personaggi sono stati segnati dalla vita, dalle morti, dall'assenza di prospettive e dalla mancanza di un'identità culturale sepolta da secoli di cattività. Mentre il padre della giovine vittima tenta una dolorosa elaborazione del lutto dipingendosi il volto di colori tribali, secondo i dettami di una tradizione mai appresa dagli antenati e forse errata, il processo di accettazione della perdita per l'uomo occidentale è assai più complesso e può sfociare nella giustizia privata oppure nel perdono. Il film mostra le piaghe purulente di ferite mai rimarginate ma solamente nascoste sotto la coltre di un candido e freddo lenzuolo bianco. Al fianco di una vendetta che può essere gratificante nell'immediato Sheridan rammenta allo spettatore che chiusa una porta se ne apre un'altra di infinite possibilità come l'inattesa telefonata di un figlio allo sbando che avrebbe potuto fare qualsiasi cosa ma si è lasciato annegare da fluidi vischiosi e fiumi di alcool. È la base su cui fondare una nuova coscienza di cambiamento affinché ogni umana tragedia alla lunga non sia soverchiante per l'individuo e per la comunità.
Il Premio alla regia Un Certain Regard passa inevitabilmente per una sequenza di straordinaria tensione emotiva che inizia con una porta che si apre all'amore e poi si chiude dietro il barbaro stupro del branco. Il contrappasso dantesco in un girone ghiacciato lascia attoniti in questi giorni di polmoniti virali così come la descrizione degli alveoli che scoppiano dopo una prolungata esposizione all'aria ghiacciata del Wyoming e al respiro accelerato di chi è costretto a scappare dalla morte.
NowTv
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