Regia di Taylor Sheridan vedi scheda film
Una ragazza corre a piedi scalzi nella neve, che è ovunque. Ha lo sguardo spaventato e smarrito. Cade, si rialza e poi cade di nuovo. Il suo corpo congelato verrà ritrovato tempo dopo da Cory Lambert, esperto inseguitore e cacciatore. Ad indagare sull’omicidio arriva anche l’FBI, rappresentata da una giovane e inesperta agente, che sarà costretta a collaborare con le persone del luogo per risolvere il caso.
Scritto e diretto da Taylor Sheridan I segreti di Wind River è l’ultimo film della trilogia che affronta il tema della moderna frontiera americana, i precedenti sono Sicario e Hell or High Water. Ambientato nel gelido inverno del Wyoming, dove il freddo diventa un vero e proprio nemico ostile contro cui combattere, la pellicola di Sheridan si concentra sull’intrinseco rapporto uomo/natura, lasciando in primo piano, come anche nelle pellicole precedenti della trilogia, la questione dei nativi americani e delle riserve a loro assegnate dallo Stato, sempre ubicate in zone impervie in cui la sopravvivenza mette a dura prova la mente.
Un film che fin dall’inizio si dimostra più impegnativo che impegnato; un tantino anche illusorio perché si presenta come un thriller e si trasforma poi in un film politico-esistenziale senza però possedere le caratteristiche necessarie per essere, non tanto compreso, quanto percepito nella forma in cui Sheridan aveva intenzione di farlo arrivare al pubblico.
Ecco che ci troviamo di fronte quindi ad un film che fa proprio il fascino dei mondi perduti e abbandonati, con immense distese di neve, bianca, candida, macchiata solo dalla mano dell’uomo vile, dedito alla violenza e alla perdizione perché prigioniero di un territorio impervio che incide sulla sua psiche e lo induce a compiere atti indicibili.
Una pellicola lenta, come il dolore che anima Cory,protagonista silente ormai membro attivo della comunità indiana, a cui ha dato anche un figlio, anzi due, ma nel quale non si sente mai veramente compreso; quasi rigettato, in uno stato vitale che lo induce a sentirsi disorientato, mai partecipe delle situazioni altrui, che scaturiscono dalle conseguenze della negligenza che lo stato americano ha avuto nei confronti dei nativi fin dal lontano 1764 con la proposta del “Piano per la futura gestione degli Affari indiani” e tanto escluso da non sentirsi mai capace di condividere il proprio, interno ed eterno, dolore.
C’è forse veramente troppo, nel sottobosco innevato de I segreti di Wind River che diventa difficile venirne a capo o anche solo lasciarsi coinvolgere. Per quanto nella seconda parte il ritmo narrativo aumenta e tutti i nodi si sciolgono, resta una pellicola empaticamente lontana.
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