Regia di Alex Infascelli vedi scheda film
Un uomo ha battuto la testa e non ricorda quasi nulla del suo passato. La moglie tenta invano di riportargli in mente la sua vita, la loro vita, ma la ricostruzione sembra del tutto inattendibile.
A due anni dal documentario su Kubrick S is for Stanley (2015), a 8 da Nel nome del male, girato per Sky tv, a 11 da H2Odio, distribuito solo nel circuito homevideo e infine a 13 dall'ultimo lavoro a soggetto espressamente cinematografico, cioè Il siero della vanità (2004), ritorna sul grande schermo Alex Infascelli. E lo fa con un'opera interessante, esteticamente accurata (fotografia di Arnaldo Catinari, scenografie di Marina Pinzuti Ansolini) e al passo con i tempi, con un film d'autore che pur reca in sè limiti e difetti. Piccoli crimini coniugali somiglia all'ultimo Polanski: un kammerspiel ad azione pressochè annientata, basato cioè quasi interamente sui dialoghi, con due-personaggi-due sulla scena e un dramma intimo, straziante da raccontare tramite le loro emozioni e interazioni. Tratto da un dramma teatrale - e la destinazione d'origine, ovvero il palcoscenico, si vede tutta - firmato dal francese Eric-Emmanuel Schmitt nel 2003, omonimo, il film assume una sua personalità, una sua dimensione cinematografica grazie alla sceneggiatura che Infascelli licenzia insieme a Francesca Manieri; ma il lavoro non è sufficiente a rendere Piccoli crimini coniugali sufficientemente dinamico, vivo, vero, lontano dall'impostazione retorica e dai clichè tipici della pagina scritta - e scritta per il teatro: ad esempio, certi dialoghi palesemente fasulli, artefatti, belli da ascoltare ma tutt'altro che reali. A conti fatti, la scena maggiormente incisiva rimane quella d'apertura, in pieno stile Haneke: macchina da presa voyeurista, alle spalle dei protagonisti, e musica spiazzante (un assolo di batteria). Sullo schermo compaiono solo Margherita Buy e Sergio Castellitto: difficile chiedere di meglio. 5,5/10.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta