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Il prestanome

Regia di Martin Ritt vedi scheda film

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La recensione su Il prestanome

di Aquilant
8 stelle

Com’è noto, nei primi anni cinquanta si scatenò negli USA una vera e propria caccia alle streghe, ovvero una dilagante campagna anticomunista a cura della Commissione Parlamentare sulle Attività Antiamericane indirizzata in special modo contro il mondo dello spettacolo e nei confronti degli artisti colpevoli di manifestare liberamente le proprie idee, in aperto contrasto con quelle della maggioranza del popolo statunitense e con gli ideali di patriottismo ed attaccamento alla bandiera a stelle e strisce tanto cari ai suoi padri fondatori e tanto nocivi a gente come Martin Ritt, regista del film. Qualsiasi artista sospettato di aver partecipato in passato a cortei a favore dei lavoratori oppure di aver frequentato gente di sinistra veniva chiaramente posto sulla lista nera, se non arrestato. In tal modo più di 700 registi, attori e sceneggiatori sospettati di idee comuniste furono perentoriamente privati del loro lavoro. Di questo ed altro ci parlano il regista Martin Ritt e lo sceneggiatore Walter Bernstein, “blacklisted” (ovvero messi sulla lista nera) rispettivamente nel 1951 e nel 1950 in questo film in cui, accanto ad un Woody Allen più dimesso del solito, si muovono altri attori “blacklisted” nei primi anni ‘50: Zero Mostel (1950), Herschel Bernardi (1953), Lloyd Cough (1952) e Joshua Shelley (1952). Il tema sarà poi ripreso anni più tardi da Irwin Winklee nel non altrettanto valido “Indiziato di reato”. Giova a riguardo evidenziare l’inquietante analogia tra il regime sovietico dell’epoca col suo atteggiamento improntato ad incoraggiare le delazioni da parte dei dissidenti e l’atteggiamento di queste commissioni che nel tentativo di combattere l’aborrito comunismo non disdegnavano di adottarne i medesimi metodi col risultato di spingere a volte il malcapitato di turno a gesti estremi. Indipendentemente da qualsiasi considerazione a carattere politico il film é dotato di una certa validità anche dal punto di vista puramente artistico, pur se in vicende del genere ciò che realmente conta é il messaggio da tramandare ai posteri per renderli edotti del fatto che anche un popolo apparentemente civile come l’America può avere i suoi bravi scheletri nell’armadio ed il sommovimento tellurico causato in Irak non può non dimostrarlo. Ma seppure a tutt’oggi il popolo americano non può dirsi completamente libero specie per merito dei mass media che continuano ad esercitare una pesantissima pressione sull’opinione pubblica, crediamo che gli USA abbiano pur sempre la facoltà di rivendicare a sé stessi l’appellativo di popolo democratico nonostante la riconferma di Bush alla presidenza. Opinione confermata il fatto che il libro “Voci dall’inferno - l’America e l’era del genocidio” di Samantha Power, che narra l’indifferenza della politica americana nei confronti dei genocidi del famigerato secolo ventesimo ha ricevuto il prestigioso premio Pulitzer proprio nell’era dell’America bushiana.

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