Regia di Federico Fellini vedi scheda film
La “Roma” felliniana è quell’insieme di mitiche fandonie che la retorica – specie quella fascista, ma non solo – vorrebbe spacciare per la nostra tradizione culturale, alias il nostro glorioso passato. Il “caput mundi” è, in realtà, la capitale del provincialismo, pullulante di un’umanità ruspante e caciarona, dedita ai piaceri della vita: questi, però, non sono quelli ricercati della borghesia metropolitana, bensì quelli grevi e scomposti di un rumoroso baccanale. L’Urbe è una “Roma matrona” dal grande ventre, prolifica e ingorda, e dalla bocca carnosa, grondante di baci, improperi e sugo all’amatriciana. Questa è la Roma degli anni venti, quaranta, settanta e di sempre: oggi è certo più frenetica, fumosa e motorizzata rispetto ai tempi della guerra, ma è comunque sempre lei, la città eterna, eternamente impegnata ad imbrodarsi della sua caotica megalomania.
Fellini ci consegna il suo personale ritratto di una città, un ritratto caustico e disperato, dalle tinte cupe, ma ravvivate da una fiammata di tragica nostalgia. Questa nasce dalla consapevolezza che l’unica magia della leggendaria Roma dei cesari e dei papi è ormai solo la grigia patina di illusione che riveste un fossile.
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