Regia di Maurizio Nichetti vedi scheda film
Maurizio Nichetti, che da un po’ di anni si è defilato dal cinema un po’ perché il suo cinema non è commestibile a tutti e un po’ perché il pubblico non se lo fila più, ha diretto qualche film da ricordare, se non altro per l’originalità e la singolarità della produzione. Non fa assolutamente eccezione Stefano Quantestorie, settimo opus del fantasioso regista milanese, che può contare su molti elementi positivi a suo favore, tutt’altro che banali. Innanzitutto una struttura narrativa raffinatissima e sapiente, costruita con estrema accuratezza e sopraffina articolazione, che intreccia cinque piani di racconto in cui è difficile distinguere la realtà dall’immaginazione per almeno quattro/quinti del totale e la struttura primaria rincorre il resto della narrazione nascondendosi, mutando, dissimulandosi. È una goduria vedere, capire, interpretare le Quantestorie che avrebbe potuto vivere (o vive, chissà) l’omino qualunque Stefano, perché tutto è snodato con una leggerezza e con un tocco così soffice e leggere che è impossibile non volergli bene. Lo vediamo prima carabiniere poco convinto, poi impiegatuccio represso ed assillato dalla moglie (la veemente Caterina Sylos Labini), poi professore giovanilista con moglie hostess (l’elegante Elena Sofia Ricci) che gli mette le corna con un pilota con tanta prole (ancora Stefano), poi musicista sequestrato da un rapitore (sempre Stefano) assistito da complice in crisi (la sottovaluta Amanda Sandrelli). Insomma, una girandola deliziosa. E poi Nichetti ha un’idea tutta sua di cosa vuol dire fare cinema, che nel panorama italiano è pressoché unico: tanto per fare un esempio, chi farebbe frignare una madre in quel modo così cartoonesco, con le lacrime che zampillano debordanti? Tra l’altro, la madre di Stefano è una dolcissima Milena Vukotic, sposata al carabiniere bonaccione Renato Scarpa: chi non vorrebbe due genitori così?
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