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Dove non ho mai abitato

Regia di Paolo Franchi vedi scheda film

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La recensione su Dove non ho mai abitato

di Furetto60
6 stelle

Dramma sentimentale, diretto con stile sobrio e asciutto. Prova attoriale di ottimo livello

Massimo è l’allievo prediletto , di Manfredi, celebre architetto Torinese. Francesca è sua figlia, anche lei architetto, ma con grande disapprovazione del padre,  non esercita la professione, si è sposata e trasferita in Francia, probabilmente proprio per sfuggire ad un padre invadente ed ingombrante per la sua fama e il suo egocentrismo sfrenato. Francesca vive con un banchiere ricco, ma secondo Manfredi di scarso spessore caratteriale e che non motiva la moglie ad esprimere il suo grande, ma solo potenziale, talento professionale. Quando Francesca torna a Torino per fare visita al padre, costui affida a lei e a Massimo il compito di ristrutturare una villa fuori città. Massimo è già a buon punto con il restauro, Francesca, dopo le prime ritrosie, accetta di dare una mano, più per accontentare il padre, che per sentita vocazione .Tuttavia una volta che mette piede nella casa,comincia a prenderci gusto, inventa geniali soluzioni luminose. Apre gli spazi all’esterno,da un tocco di gentile e delicata femminilità agli ambienti, in più con le sue buone maniere riesce a gestire meglio il personale e i fornitori. Da una semplice simpatia, il rapporto tra i due passa lentamente a qualcosa di più profondo, fino a diventare passione e poi amore. Il regista Paolo Franchi lavora abilmente per sottrazione. Il film è fatto di atti mancati, di reticenze e di parole non dette, il racconto è sobrio ed ellittico. I luoghi, sono fondamentali,per il costrutto della storia, in quanto specchio degli stati emotivi, li definiscono e tratteggiano, con un uso frequente e prolungato dei primi piani, immersi in atmosfere rarefatte, ma dense di malinconia. Massimo e Francesca si muovono, in ambienti ricchi e altolocati, ma poveri d'aria, si affannano a costruire per gli altri le case dei sogni,che abiteranno giammai, tenendo chiuse nel proprio intimo, le reali aspirazioni. La storia d’amore impossibile fra Francesca e Massimo,anche se ha un qualche guizzo iniziale, resta sostanzialmente in embrione, non può svilupparsi, ma solo avvitarsi su se stesso, procurando profonda angustia all’anima dei protagonisti. Il regista usa con maestria gli spazi e connota gli oggetti di significati simbolici:una tenda tirata, un bicchiere pieno a metà, un appartamento svuotato. Tutto riporta ad un senso ultimo di frustrazione e chiusura, come nel melodramma tradizionale. Il cerchio si chiude con il ritorno di Francesca, alla routine in quel di Parigi,a fare la casalinga di lusso, con uomo che non ama, mentre Massimo riprende la relazione con una sua vecchia fiamma, che non lo accende più di tanto. Il regista si avvale della splendida fotografia di Fabio Cianchetti che marca luci e ombre, e del montaggio rigoroso di Alessio Doglione. Esemplare ed essenziale, la prova degli attori protagonisti, che indugiano in un meraviglioso ed enigmatico gioco di sguardi, che lascia trasparire, un tempestoso tumulto interiore.

 

 

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