Regia di Cosimo Gomez vedi scheda film
Venezia 74 – Orizzonti.
Brutti e cattivi aveva cominciato a far parlare di se quando nel 2016 Claudio Santamaria si era presentato alla cerimonia dei David di Donatello completamente calvo. Un primo scalpo(re) che aveva fatto appuntare il film in questione sul taccuino come una nuova opportunità per il cinema italiano di sviluppare un soggetto indipendente dai canali più asfittici, guarda caso proprio quando Lo chiamavano Jeeg robot veniva incoronato dai premi, oltre che dal pubblico, fattore tutt’altro che trascurabile.
Proprio quel successo ha aperto una via che Brutti e cattivi prova a suo modo a percorrere, senza trovare risultati particolarmente lungimiranti, rimanendo comunque un’iniziativa insolita per il nostro cinema e come tale meritevole di non finire anzitempo nel dimenticatoio.
Roma. Un uomo senza gambe soprannominato il Papero (Claudio Santamaria), insieme a sua moglie Rosabella, detta la Ballerina (Sara Serraiocco), il suo accompagnatore che di nome fa Giorgio Armani e di soprannome il Merda (Marco D’Amore) e un nano chiamato da tutti Plissé (Simoncino Simone Martucci), architetta una rapina in banca sufficientemente remunerativa da sistemarli per sempre.
Il piano va a buon fine ma il denaro rubato appartiene a un potente clan cinese, che si mette sulle loro tracce. Come se non bastasse, gli stessi avventori non giocano di squadra. Infatti, ognuno di loro ha in mente un piano per eliminare i compagni e intascarsi tutto il bottino.
Il denaro, soprattutto quando abbondante e improvviso, può rovinare qualsiasi rapporto. Gli stessi soci in affari diventano nemici e il più furbo, o chi semplicemente suppone di esserlo, cerca di prevalere sugli altri.
Su questa chiave di lettura, (stra)vista in ogni dove, Cosimo Gomez costruisce Brutti e cattivi, una pellicola volutamente tamarra e scatenata, con una galleria di freak intensificata ad arte per lasciare il segno.
Come intrattenimento, può contare su una vena accentuata di comico cinismo, ovviamente scorretta, sporca e cattiva, per un’autentica sagra degli eccessi che pesca tra il pulp del Quentin Tarantino più sporco ed eccessivo e il galvanizzante/frastornante ritmo pop di Guy Ritchie.
Paradossalmente, esagera al punto da limitarne gli effetti pratici, con un montaggio ultra cinetico che riflette una concatenazione in fondo più limitata di quanto non voglia dare a vedere, avanzando a colpi di scena.
Facendo anche ricorso a escamotage narrativi sanguigni, alcuni anche di buona realizzazione, e a un linguaggio che giustamente non può essere oxfordiano, Brutti e cattivi acquisisce una sua precisa identità, una novità per il panorama del cinema italiano attuale, ma al contempo estrapolato da esperienze internazionali che abbiamo già ripetutamente incontrato (e in forme ben più persuasive).
In questa esibizione simil circense, anche gli interpreti non possono che essere presenti in vesti eccentriche: Claudio Santamaria ricopre la parte del leone con spudorata abengazione, Sara Serraiocco ha un discreto feeling con questa dimensione grottesca, ma la maschera destinata a strappare più applausi, o meglio dire sorrisi, è quella di Marco D’Amore, un rasta fulminato e dal sorriso ebete che si spera sempre di veder comparire.
Inevitabilmente, anche loro rispecchiano il carattere di un ingranaggio che tende a peccare in spontaneità, illustrato con un numero di giri talmente elevato da inghiottire tutto, animato al punto di apparire smanioso e quindi, paradossalmente, programmatico negli intenti stessi.
Un film sgangherato, ma anche più studiato di quanto sarebbe lecito pensare, da testare pur essendo una novità fuori tempo massimo per il cinema italiano, un’occasione per alimentare alternative di fruizione e tutto sommato,se viene accettato il dispositivo ostentatamente trash, riesce a instaurare una sferzante connessione con lo spettatore.
Parzialmente corrosivo, moralmente aggressivo ma troppo compiaciuto per essere trascinante quanto vorrebbe.
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