Regia di Ermanno Olmi vedi scheda film
Erede del messaggio rosselliniano, ma Maestro in proprio fin da subito, con un passato di documentarista industriale, Olmi sforna, con il suo secondo film, un'opera povera soltanto di soldi, ma ricca di acuta ed umana comprensione per i comportamenti ed i processi interiori dei suoi personaggi, giovani e meno giovani. Testimone principe della trasformazione di un'intera generazione da massa contadina a classe industriale, il regista bergamasco ci dà allo stesso tempo un bozzetto lombardo (il paesano alle prese con la grande città) ed una storia universale, con uno sguardo che, oltre a Rossellini si richama ad «autori come Bresson, Resnais, Dreyer, Mizoguchi» (Brunetta). Ma ovviamente Olmi ci mette anche molto di suo, soprattutto il rispetto per un mestiere imparato attraverso la gavetta e un rigore morale che manterrà inalterato lungo tutta la sua carriera. Singolarmente, Il posto sembra anticipare, nella sua semplicità antiscolastica, alcune avanguardie cinematografiche degli anni Sessanta, ed in particolare la Nova Vlna cecoslovacca (viene in mente L'asso di picche), con quel suo seguire personaggi umili nelle faccende grandi e piccole di tutti i giorni, interpretati (come spesso nei film di Forman, per esempio) da attori non professionisti. La somiglianza con la Nova Vlna culmina nella sequenza del ballo di Capodanno, dove Domenico, grazie ad una paglietta offerta dall'organizzazione del C.R.A.L., somiglia ad un giovane Buster Keaton. Per certi palpiti dei suoi giovani personaggi, Il posto ricorda anche La ragazza del bagno pubblico di Skolimowski, anche quel film alle prese con un ragazzo alla sua prima esperienza lavorativa ed amorosa. Ma qui c'è forse meno sofferenza e Olmi sa inserire qua e là qualche sapiente tocco d'umorismo anche amaro (si veda l'ultima sequenza, con la lotta per la scrivania, come nella migliore tradizione letteraria lombarda, da Manzoni a De Marchi.
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