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Il posto

Regia di Ermanno Olmi vedi scheda film

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FABIO1971

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La recensione su Il posto

di FABIO1971
10 stelle

"Cosa credi che ci daranno di stipendio?".
"Mah, non lo so".
"Tu cosa vorresti prendere?".
"Per me, se si potesse...".
"Cosa c'entra 'se si potesse'? Allora, se si potesse, un milione. A me se mi danno 35000 lire al mese sono contenta, tanto è il primo impiego".
"Mio padre dice che in queste grandi aziende gli stipendi non sono un granchè, però sono posti sicuri per tutta la vita"
.
[Loredana Detto e Sandro Panseri mentre passeggiano davanti alle vetrine dei negozi]

"Per la gente che vive nelle cittadine e nei paesi della Lombardia, intorno alla grande città, Milano significa soprattutto il posto di lavoro". Ermanno Olmi, al secondo lungometraggio dopo Il tempo si è fermato, è un poeta del silenzio, il suo sguardo pudico e mai enfatico è lo sguardo smarrito di Domenico Cantoni (Sandro Panseri), il giovane protagonista di Il posto, alla ricerca del suo primo impiego. Durante le selezioni attitudinali in una grande azienda conosce la bella Antonietta (Loredana Detto, che diventerà la moglie di Olmi), che preferisce farsi chiamare Magali, trascorre il resto della giornata insieme a lei e, dopo essersi salutati con la speranza di rivedersi se verranno entrambi assunti, torna a casa in Brianza, innamorato, cantando a squarciagola Piove di Domenico Modugno. L'azienda li assume, lui come fattorino, in reparti diversi: si perdono di vista, si incontrano nuovamente durante le festività natalizie, si danno appuntamento a un veglione di Capodanno. Olmi, nel frattempo, ci presenta gli altri impiegati dell'azienda, in ufficio e nell'intimità delle loro abitazioni, tratteggiandone vezzi, abitudini, manie e debolezze. Domenico è stato affidato alle "cure" dell'usciere Sartori, che lo guida nei suoi primi passi ("Qui, deve sapere, c'è una brutta abitudine: l'urgenza. Hanno tutti premura. E, se hanno premura, invece di star lì tutto il giorno seduti, che vadano fuori a prendere un po' d'aria fresca, che ci fa bene alla salute"). Arriva la notte di Capodanno: la sala del veglione si apre semivuota all'arrivo di Domenico, ma l'atmosfera surreale in cui si ritrova immerso non lo scoraggia. Attende Magali, pian piano arrivano gli invitati, l'orchestra inizia a suonare e si aprono le danze: ma Magali non si presenta e la solitudine astrae Domenico dal divertimento della folla, finchè, lentamente, non si lascerà andare anche lui ai festeggiamenti. Alla morte di un dipendente viene chiamato a prenderne il posto: diventa anche lui, con lo sguardo tristemente "abbassato" sulla sua scrivania, un anello della catena industriale, i cui ingranaggi cigolano inquietantemente in colonna sonora (evocati metaforicamente dal rumore della manovella del ciclostile) durante i titoli di coda. Premio della critica al Festival di Venezia, Il posto è un'opera di preziosa suggestione, in cui Olmi, mettendo a frutto le sue esperienze nel documentario, sposa le istanze della coeva Nouvelle Vague d'Oltralpe sublimandone la ricerca realistica nell'osservazione (lapidariamente "fotografica" nei guizzi con cui la macchina da presa astrae dalla realtà le contraddizioni del tempo) delle desolazioni e delle quotidiane meschinità dell'universo impiegatizio, inscrivendole sapientemente, tra pedinamento "neorealistico" e toni più surreali e grotteschi (le rampe di scale e i corridoi dell'azienda, il veglione di Capodanno, il test psico-attitudinale condotto dal "dottor" Tullio Kezich) in una suggestiva disamina antropologica e sociologica di un'Italia in costruzione, percorsa dai due protagonisti attraversando le vie trafficate del centro e i cantieri e le impalcature di piazza San Babila (martoriata dai lavori per la metropolitana), un'Italia che tradisce la propria coscienza e tradizione rurale in nome delle aspirazioni piccolo-borghesi veicolate dal boom economico. Ne emerge un ritratto disincantato e feroce di un momento storico colto in divenire, che la grazia dell'ispirazione e le scelte stilistiche della messinscena (attori non professionisti di rara incisività, lo splendido bianco e nero della fotografia di Lamberto Caimi e Roberto Barbieri, il sonoro in presa diretta) animano sullo schermo con superba efficacia. Ricorda Olmi: "Era solo un film povero, il cinema figlio del nostro più povero neorealismo". Povero quanto si vuole, ma ancora oggi (anzi, oggi ancor di più) un capolavoro.

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