Regia di Ermanno Olmi vedi scheda film
Un tranquillo percorso di realismo urbano, che muove i passi da un assorto angolo di periferia, da una casa di ringhiera della cintura milanese. Le poche battute iniziali bastano già ad introdurre l'ambiente familiare della classe operaia, con le sue piccole e grandi ansie quotidiane, e soprattutto, con i suoi sogni, che sono sempre gli stessi: il diploma ed un posto sicuro, in una grande azienda cittadina, possibilmente dietro ad una scrivania. Il regista parte dall'esame psico-attitudinale e dall'assunzione del giovane Domenico per puntare l'obiettivo sul mondo impiegatizio, che è il mite e silente humus delle metropoli moderne. Il tocco morbido della sua cinepresa dipinge un chiaroscuro sociale, i cui contrasti sono sottolineati dalla compresenza di diversi registri linguistici, dal dialetto al burocratese, e le ombreggiature sono garantite da quelle imperfezioni ed intrusioni nelle quali continuamente si impiglia il normale flusso degli eventi. In questo film Olmi rivela un incredibile talento, che è linfa vitale per l'arte cinematografica, ma va ben oltre i confini della stessa: egli dimostra di saper cogliere in pieno lo spirito del suo tempo, di aver intuito (verrebbe da dire, "divinato") quegli elementi della vita di tutti i giorni che avrebbero contraddistinto gli anni sessanta, a decenni di distanza, nell'immaginario dei posteri. I pasti in latteria, i distributori di cicche colorate e rotonde all'esterno dei bar, le enoteche con scaffali di fiaschi in vetrina, l'incalzare della moda dell'abbigliamento sportivo sui classici canoni della brillantina e del paletot, l'emergente mito delle due ruote, la cinghia per i libri, l'Ovomaltina, il biliardino, le fiere con i pesci rossi, la mezza sigaretta inserita nel bocchino, il pettinino di tartaruga nel taschino della giacca: questi e tanti altri sono gli oggetti, i luoghi e le abitudini che "Il posto" mette espressamente in evidenza nei dialoghi e nelle situazioni. Squisita e delicata è, inoltre, la galleria di ritratti femminili che fa da sfondo alla modesta vicenda del protagonista, un ragazzo impacciato, timido ed ingenuo, che Olmi, ad un certo punto, con l'espediente di una paglietta indossata come cotillon, non manca di accostare alla placida e disarmante figura di Harold Lloyd. Originale ed efficace è, infine, la rappresentazione dell'ufficio contabile come un'aula scolastica, con tanto di banchi, cattedra e maestro, ed un gruppetto di alunni diligenti o dispettosi e maligni. In questo modo vengono riprodotte, su scala volutamente ridotta, le gioie, le invidie, le adulazioni e le cattiverie che caratterizzano le meschine rivalità tra subalterni, e le loro patetiche smanie per ottenere un avanzamento e riscuotere l'approvazione dei capi. È in questo grottesco teatrino che, nell'ultima scena, la ruota della vita compirà, fatalmente ed inesorabilmente, un altro giro.
Un'interpretazione perfetta.
Olmi confeziona questo ritratto del "piccolo mondo moderno" con pennellate leggere e finissime, con grande attenzione per quelle impercettibili cadenze nei gesti, nelle parole e negli sguardi che sono il suggello della naturalezza.
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