Regia di David Jones vedi scheda film
di Stefano Falotico
Orrore celato in maschere di cere e orsi sgelati, a detonare commossi...
Fra tutti i film sullo sporco Vietnam, Jacknife merita un posto d’onore che, invece, stranamente, non gli viene attribuito. Perché scopro, con mio grande rammarico, che pochi in effetti conoscono quest’opera di David Hugh Jones. Personalmente, la considero una perla prestigiosa che rifulge di luce propria fra tanti altri film, comunque importanti, incentrati sulle ferite e i traumi che tale oscena guerra ha provocato nell’animo dei sopravvissuti, i reduci. Penso a pellicole come Giardini di pietra di Coppola o anche al sottovalutato Rambo. Due modi esemplari di guardare al Vietnam con prospettive diverse, rispettivamente il dolore insopprimibile dell’altra faccia della medaglia di Apocalypse Now, la rabbia repressa sua mai deflagrata ma implosa, “incastonata” nei cuori per l’eternità affranti e scossi, e invece l’ira fulminante d’un warrior toccato e leso nel punto proprio focale del suo dolore, nel caso del celebre film con Stallone.
Jacknife è un “invisibile”, uno di quei film di cui pochissimi si ricordano e che nessuno, in questo sottogenere di film sul Vietnam, cita.
Se Coppola ha girato il suo “Apocalisse” in versione intimista, diciamo che Hugh Jones trova il De Niro di The Deer Hunter molti anni dopo. Stanco, borbottante, ingrassato, con la barba lunga. Ma, al posto di Chris Walken, per sempre morto nella roulette russa di quel Cimino straordinario, Bob incontra Ed Harris. Un fantasma vivente, uno spare part della società, un “fallito” che non s’è mai più ripreso da quel che ha visto nella giungla, e che si fa mantenere dalla sorella, una meravigliosa Kathy Baker. Che, nella parte di Martha Flannigan, recita “solo” con l’intonazione addolorata ma viva della sua anima dolcemente femminile, toccata anch’essa dalla guerra che scova negli occhi distrutti del fratello, ma furentemente coraggiosa a non mollare, a sostenere il consanguineo “impazzito” affinché non crolli del tutto.
In questo prodigioso terzetto d’attori, De Niro, stupendamente camaleontico e “guascone” per mascherare le cicatrici indelebili del cuore, un Ed Harris appunto stupefacente per mimesi col dolore interiore e una Baker, ribadiamolo, graziosa nella sua pudica sofferenza propulsiva e spronante, il regista si “limita” ad orchestrare una storia già “vista” ma sempre molto toccante, perché dirige una commovente reminiscenza di quel che purtroppo è stato e non si potrà mai cancellare, però si possono vincere i demoni, proprio sconfiggendo la paura di vederli nudamente per l’incubo insonne che rappresentano. Per uccidere quel mostro, chiamato guerra, che non deve assassinare le anime di chi n’è uscito, sì, provato, stremato ma è un obbligo morale, da imporre a sé stessi, non dichiararsi morti dentro.
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