Regia di Eric Rohmer vedi scheda film
La scommessa di Pascal con le sue quattro alternative, a partire da due ipotesi: la vita potrebbe avere senso, diciamo al 10%, oppure potrebbe non averne completamente, magari al 90%. Quattro esseri umani che vagano sulla Terra possono scegliere fra quattro alternative, credere o non credere in entrambe le situazioni, e la speranza matematica, quella piccola probabilità che credendo che il mondo abbia un senso alla fine quello ce l'ha davvero e allora siamo salvi (o magari, in senso cristiano, destinati alla vita eterna), è sicuramente la più consigliabile, perché o potrebbe andarci molto male o potrebbe andarci in nessun modo e, alla fine, non potremmo neanche esprimere recriminazioni, perché saremmo finiti nel nulla post mortem. Eppure come parlare di questa speranza matematica, se la matematica è "un passatempo puramente borghese, opposto alla religione"? E come considerare al 25% la scelta di una speranza al 10% se poi quella speranza ci pone davanti a un infinito che non ammetteva alternative? Tutto va letto in funzione del nostro diverso approccio al reale, del nostro atteggiamente morale (e Ma nuit avec Maud è uno dei racconti morali di Rohmer) e delle nostre relazioni umane. Si potrebbe intendere dunque il capolavoro di Eric Rohmer, interpretato splendidamente dai due protagonisti Jean-Louis Trintignant e Françoise Fabien, come la messa in scena delle quattro diverse alternative: Jean-Louis Trintignant sceglie che la vita ha senso e, nel suo profondo, verrà smentito; Françoise Fabian crederà che la vita non ha senso, e vede che la vita di Trintignant assumerà invece senso (e forse non carpirà il crollo di tutte le di lui certezze); l'amico di Françoise Fabien, Antoine Vitez, non crede che la vita abbia senso, e questa per lui lo perde quando Françoise Fabien invita Trintignant a rimanere a dormire; Marie-Christine Barrault, che si sposerà con Trintignant, crederà che la vita abbia senso e verrà soddisfatta, nel suo piccolo punto di vista, com'è piccolo il punto di vista di tutti gli altri. Il film di Rohmer può portare a simile schematizzazione, volendo rileggerlo con il passare del tempo nella propria memoria - cosa facile visto che risulta indimenticabile -, ma simile approccio sociologico, filosofico e razionale viene frenato dalla necessità impellente di un linguaggio filmico ricco di sfumature, che nel chiaroscuro di una camera di notte o nell'atmosfera soleggiata di una spiaggia riesce a cogliere le sottili connessioni tra gli esseri umani che sono intese non amichevoli né formali, ma esistenziali, avvicinamenti che, a volerli comprendere, forse sono più vicini ad essere amorevoli, ma che si esprimono essenzialmente attraverso un confronto costante e non conflittuale, un'utopia filosifica di una dialettica che non destabilizzi nell'immediato ma conceda il passaggio a più ipotesi. I personaggi di Rohmer si spogliano delle loro condizioni contingenti per divenire concetti, ipotesi, principi, riflessioni in carne ed ossa sulla complessità dell'esistenza, senza per questo abbandonare il loro assetto materiale, consapevoli di quanto esso possa limitarli e quanto esso sia l'elemento fondante di quel famoso 'senso della vita', nella maggior parte dei casi. Nonostante il film sia parlato a più non posso, oltre a non annoiare in nessun punto, riesce ad evitare il linguaggio teatrale attraverso l'analisi profonda delle psicologie e delle filosofie di vita anche in relazione all'ambiente borghese che però (fortunatamente) non diventa mai palco. I dialoghi intrattengono un confronto anche con lo spettatore stesso, che è invitato ad allearsi o in generale a vedersi in uno dei quattro personaggi, anche se chiaramente ad essere più interessanti sono i due protagonisti, coloro che sono stati smentiti. La vita, qui presa nella sua versione concettuale (che forse quando si inizia a riflettere sulla vita si smette di vivere?), si rivela insieme infinito (anche se matematico) di possibili scelte e di ricercate soddisfazioni, assume senso proprio nella sua problematicità, nel suo stesso vagare (come ogni singolo uomo) fra le varie alternative, diventa 'compressione fra due difficoltà', come saggiamente lascia intendere l'omelia del sacerdote della Chiesa (sotto lo sguardo sempre più sconvolto di Trintignant e della Barrault): "La vita cristiana non è un corso di morale, è una vita, e questa vita è un'avventura, la più bella di tutte, l'avventura della Santità. Io non vi nascondo che bisogna essere pazzi per diventare santi, e che molti di coloro che sono stati canonizzati hanno avuto paura di questa strada senza scampo, di questa dolorosa via, che li ha condotti infine alla Santità. Ma al di là di quelli che sono i nostri dubbi, le nostre paure, noi dobbiamo avere una fede incrollabile in Dio, in Gesù Cristo, una fede indistruttibile, che va al di là delle più chimeriche speranze degli uomini, e che sempre, durante tutto il corso della nostra vita, ci rammenta con la più dolce semplicità che Dio ci ama. E ricordiamo, miei cari fratelli, che senza tregua, continuamente, quest'uomo, questo santo che noi siamo chiamati ad essere, quest'uomo è un uomo che da una parte è costretto, è dominato dalla quotidiana difficoltà di vita, di essere, di vivere la propria esistenza d'uomo, con le sue passioni, con le sue debolezze, con le sue tenerezza, ma anche dall'immensa difficoltà di vivere in quanto egli vuole essere discepolo di Gesù Cristo". I volti attoniti e deformi dei due ascoltatori lasciano intendere la portata di queste affermazioni, una paradossale dolce semplicità in confronto all'immensa difficoltà di vivere dell'uomo cristiano che vuole diventare santo. Ma un'ora prima Trintignant aveva affermato di non voler apparire santo, di non voler essere un esempio, riteneva che le passioni e le tenerezze non costituissero un punto di rottura con la fede abbastanza fragile in Dio. E così la piccolezza del suo approccio morale ed esistenziale cozza con le affermazioni ufficiali della Chiesa, che pure ammette l'immensa difficoltà di vita. Anche se l'omelia riguarda due delle quattro possibilità pascaliane (poiché non si esclude comunque la possibile mancanza di senso), il discorso è espressione della Vita stessa, che senza scelte, tenerezze e difficoltà, non sarebbe Vita. Se il film poi è bellissimo, questa è dimostrazione che, a prescindere dal punto di arrivo, si tratta comunque, in termini strettamente filosofici, di un' avventura bellissima.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta