Regia di Francis Ford Coppola vedi scheda film
Prime prove autoriali di Coppola
Primo film di Coppola, che firma sceneggiatura e regia, con ambizioni autoriali: l'impianto è di tipo esistenziale ma viene sviluppato attraverso lo strumento cinematografico tramite soluzioni sperimentali sia visuali che di diegesi sul dramma. Il film, pur ricevendo un riconoscimento al festival di San Sebastian nel 1969 per migliore opera e miglior regista, fu però un clamoroso fiasco al botteghino, il che appare comprensibile data la sua immaturità sperimentale.
Protagonista di questa storia incerta è Natalie Ravenna (Shirley Knight), giovane sposa, che un giorno va via di casa dopo aver scoperto di essere incinta, volendo concedersi uno spazio personale per riflettere sul proprio preconizzante senso di inadeguatezza di fronte all’incipiente evento. Lascia dunque un biglietto al marito, prende l'auto e va via, passando prima dai genitori inorriditi e poi proseguendo il viaggio, fisico e, nelle aspettative, mentale, interrotta nei pensieri da violenti flash di memoria che le riportano alla mente alcune scene del matrimonio.
Natalie telefona al marito da una cabina per comunicargli a voce che non tornerà la sera, quindi trova posto in un motel. Quando riparte incontra per strada un'anima solitaria, Kilgannon detto "Killer" (James Caan), ex giocatore di football, a cui - si capirà presto, tramite altri flash - uno scontro di gioco ha provocato una menomazione permanente al cervello. L'unica a non capirlo subito è proprio Natalie, che, nonostante l’ex giocatore si leghi morbosamente a lei, dopo un po' cerca di scaricarlo: lo lascia, lo riprende, lo porta via, non riuscendo a trovare uno straccio di persona che lo accolga offrendogli un posto di lavoro. La stessa ex ragazza del giocatore, presso il ranch del cui padre Natalie lo ha condotto, nella speranza di trovargli una sistemazione, lo manda via con cinico disprezzo definendolo un “minorato”. Alla fine Natalie trova disponibilità per Killer presso un allevamento di polli il cui proprietario, il signor Alfredo, lo mette a lavorare solo per derubarlo dei suoi 1000 dollari che la squadra gli aveva regalato dopo l'infortunio.
Natalie scappa comunque via in auto pur di liberarsi dell’incomodo ospite ma viene fermata per eccesso di velocità dal poliziotto Gordon (Robert Duvall), altro strano personaggio dietro cui si cela il dramma di un uomo che - lo racconteranno ulteriori flashback - ha perso moglie ed una figlia in un incendio. Il poliziotto costringe Natalie a pagare la multa conducendola proprio presso la fabbrica di Alfredo, per cui la donna ritrova ancora una volta il giocatore. Lei accetta di trascorrere la serata nella roulotte del poliziotto, divisa con la di lui figlia di dieci anni, che viene mandata via brutalmente dal padre. Natalie però si irrigidisce quando comprende che Gordon cerchi di fare l’amore nel ricordo della moglie più che con lei: il poliziotto, vistosi rifiutato, diventa furibondo ed alza le mani, ma a quel punto riappare Killer che sfonda la porta e solleva per aria Gordon, salvato da un probabile massacro dalla bambina che spara su Killer per fermarlo. Solo a quel punto la protagonista dice al suo ospite, ma è troppo tardi, che "può ancora rimanere con lei".
Killer è con tutta evidenza il simbolo del figlio non desiderato da Natalie, figlio che la spaventa e di cui tenta di liberarsi quando ne percepisce il peso opprimente ed i vincoli costrittivi sulla propria futura vita. Purtroppo Shirley Knight conferisce al suo personaggio solo la parte più propriamente nevrotica di futura madre insoddisfatta mentre sembra totalmente perdersi qualunque attitudine materna ed umanamente protettiva, perfino quando il poliziotto tratta con violenza la propria figlioletta.
Quello che piuttosto trionfa nei rapporti che si sviluppano lungo il viaggio di Natalie è il profondo cinismo dell’essere umano, che si inabissa oltre i limiti di un brutale pragmatismo (lo sportivo un tempo osannato ora è un relitto umano da annichilire perfino nei ricordi): tale cinismo viene svelato dalle azioni e dai discorsi di coloro che Natalie incontra in successione durante il viaggio o dal continuo fluire dalla testa dei protagonisti di quei violenti lampi di flashback, allucinazioni che Coppola scaraventa sullo schermo, quasi con l'intento di sconvolgere lo spettatore, come traduzioni visive e senza filtri dei più brutali stati d’animo interiori.
Sembra manchi in ogni caso, in questo viaggio un po’ troppo fisico, il completamento del percorso interiore della protagonista, continuamente presa più dai fatti materiali che si susseguono o dalle proprie angosce e dalle paure istintive dell’immediato, che dalle riflessioni personali ed esistenziali. Forse solo in Un sogno lungo un giorno il cammino interiore troverà sua piena e convincente forma, coinvolgendo aspetti che riguardano il bilancio di una coppia in crisi, appiattita su abitudini e manifesta incomunicabilità.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta