Regia di Ferzan Özpetek vedi scheda film
Uno scrittore turco ritorna a Istanbul dopo vent'anni per collaborare con un famoso regista. Il viaggio è anche e soprattutto un'occasione per lasciare riemergere il passato.
Come sempre, quando si parla di Ferzan Ozpetek, è necessaria la premessa che si tratta di un lavoro esteticamente compiuto e che dimostra notevole cura tecnica; dopodichè si può cominciare a sviscerare una per una le ragioni per cui il film non funziona. Rosso Istanbul è un viaggio nella memoria, e fin qui niente di nuovo, compiuto da un intellettuale (uno scrittore) tormentato, e fin qui niente di nuovo, che non fa segreto in alcun modo della sua portata autobiografica, e fin qui niente di nuovo; un'opera a suo modo elegante, che pretende di parlare al cuore dello spettatore solleticandone innanzitutto lo sguardo, e fin qui niente di nuovo, per suscitare infine facili coinvolgimenti con il riaffiorare di emozioni passate dal sapore dolceamaro: fin qui, si capisce, niente di nuovo. Al di là di tutto questo, la direzione degli interpreti lascia parecchie perplessità, a partire dall'eternamente inespressivo protagonista Halit Ergenç, per non trascurare poi la presenza in un ruolo centrale della mascotte ozpetekiana Serra Yilmaz, mai fuori contesto come qui (e assolutamente indispensabile in altre circostanze, per chiarire ogni dubbio); altri nomi di rilievo nel cast sono quelli di Nejat Isler, Mehmet Gunsur, Tuba Buyukustun e Cemre Ebuzziya. Come si sarà ormai intuito, il regista e sceneggiatore (qui, con la collaborazione di Valia Santella e Gianni Romoli, partendo da un libro scritto da lui stesso) di origine turca è tornato a lavorare in patria a quasi due decenni dal suo ultimo titolo lì girato, cioè Harem Suare (1999): l'intreccio fra realtà e finzione è perciò palese e anche qui niente di nuovo. 3,5/10.
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